INDICE- I ponti di Castellina - Una bella figura quella dell'ADA di Fognano - Elvio Cornacchia-Premessa e Giochi di guerra-
I ponti di Castellina
Avevo 12 anni. Era un pomeriggio caldo del mese di luglio del 1944 quando un gruppo di soldati tedeschi si impadronirono del grande cortile alberato della mia casa e posizionarono un grosso cannone. Occuparono poi le camere al primo piano per i loro superiori ed essi si sistemarono sotto le tende, dove attivarono anche una cucina da campo.
Spesso arrivavano delle granate che colpivano qua e là le case attorno senza fare vittime, perché la maggioranza delle famiglie si era rifugiata nei capanni delle vigne o nei poderi sulle colline. Il grosso cannone sparò solo una volta e la casa tremò così forte da far cadere dal muro la Madonna di terracotta che andò in mille pezzi. I soldati tedeschi furono molto rispettosi nei nostri confronti e ci fecero capire che erano lì per mettere le mine nei ponti di Castellina. I ponti erano cinque: uno di legno sul fiume Lamone, uno sulla strada maestra parallelo a quello della ferrovia e gli altri due erano rispettivamente sulla strada che porta a Villa Corte e su quella che porta alla Chiesa. Tutti molto vicini alle case.
Durante il mese di novembre, sempre di notte, cominciarono a passare per ore e ore carri trainati da mucche o da qualche cavallo. Trasportavano armi, soldati, bagagli vari ed anche lettighe con soldati feriti. All’alba tutto quel traffico si fermava per riprendere poi la sera.
Il 7 dicembre i soldati cominciarono a smontare le tende, la cucina da campo, il cannone e capimmo che si preparavano a partire. La sera stessa il maresciallo tedesco venne ad avvertirci che durante la notte avrebbero fatto saltare i ponti. Ci raccomandò di stare al piano terra e di non uscire di casa per nessun motivo. Quella notte fu lunga per noi, nessuno andò a dormire perché l’attesa di quello che doveva accadere ci tormentava. Intanto lungo la strada continuavano a passare carri e tanti soldati a piedi. Verso le cinque del mattino il traffico cessò lasciando il posto a un silenzio che faceva paura. All’improvviso si sentì un botto non tanto forte. Era saltato il ponte di legno sul fiume. Dopo circa un quarto d’ora ci fu un’unica esplosione dei quattro ponti restanti, ma fu talmente forte che fece tremare la casa per qualche minuto mentre i vetri delle finestre andavano in frantumi. Allo scoppio seguì una pioggia interminabile di massi, sassi, legni, rami di alberi, sabbia, polvere che avevano ricoperto anche il cortile in uno spettacolo di completa distruzione. I massi caduti dall’alto avevano sfondato i tetti delle case lasciando grandi buchi.
Forse sono una delle ultime persone di Castellina che ha visto e che ricorda. Ho voluto dare testimonianza perché, chi lo ignora, sappia che anche un tranquillo paesino come Castellina ha vissuto e sofferto la guerra.
( Gemma Malpezzi)
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CITAZIONI
***Non esiste uomo folle al punto di preferire la guerra alla pace. In pace i figli seppelliscono i padri, in guerra sono invece i padri a seppellire i figli.
(Erodoto)
***Quando scoppia una guerra, la gente dice: “Non durerà, è cosa troppo stupida”. E non vi è dubbio che una guerra sia davvero troppo stupida, ma questo non le impedisce di durare.
(Albert Camus)
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Premessa a Giochi di Guerra di Filippo Briccoli
Ho letto il racconto della guerra da lui vissuta nella piccola frazione Villaggio Strada di Brisighella, distante appena tre chilometri da Fognano. La lettura della sua cronaca, dettagliata e pecisa, mi ha stupita molto. L'ho comparata con la "mia" guerra che ho raccontato nell'articolo "Una bambina sfollata" nella sezione A Fognano. Abbiamo la stessa età, vivevamo a poca distanza, ma sembrano due guerre diverse: spaventosa e rischiosa la sua, smorzata e perfino a tratti piacevole la mia. Gli ho chiesto se potevo prenderne una parte dal suo sito (www.filippobriccoli.it ) e me l'ha gentilmente concesso. Ho scelto di trascrivere i suoi giochi in tempo di guerra.
Chi volesse leggere l'intera cronaca che coinvolge anche il suo paese (Villaggio Strada) e tutti gli abitanti, la può trovare sul suo sito www.filippobriccoli.it
Carla Ciani
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“Giochi” di guerra. Di Filippo Briccoli
Dal 1° ottobre 1944 al gennaio 1945.
La prima occasione che mi permise, in tempo di guerra, di avventurarmi in un gioco nuovo quanto pericoloso (col senno di poi…) capitò imprevista il primo ottobre 1944: era una domenica mattina.
Mentre camminavo con mia zia Mina alla volta della Pieve Thò per la messa domenicale (la mia mamma era morta poco più di due anni prima) notai di lontano un ammasso di rottami a ridosso del sottopassaggio della ferrovia fronteggiante il sagrato dell’antica Pieve.
Al termine della funzione che sembrò non terminare mai, uscimmo in fretta e ci unimmo ad altre persone già sul posto.
Ciò che si presentò ai nostri occhi ci lasciò sbalorditi: una catasta di bombe di aereo non saprei dire di che tipo, sparse intorno tra i rottami di alcuni vagoni deragliati e scivolati lungo la scarpata. Pochi metri più in alto infatti, nella sede della ferrovia, si vedevano traversine divelte e binari contorti.
Alcuni uomini informati su tutto, stavano spiegando che i vagoni erano deragliati la notte successiva al bombardamento del 27 settembre, incursione mattiniera ancora vivissima nella memoria di tutti per la morte di Francesco Bubani.
Indifferente alle tante voci dai toni più o meno eccitati, mi avvicinai a quei grossi proiettili allungando una mano per toccarli. Girai poi lo sguardo per controllare se qualcuno poteva sgridarmi. Macché! Erano tutti troppo impegnati in commenti per interessarsi di me.
Ritornai a casa piuttosto contento del mio atto coraggioso. Dovevo raccontarlo ai miei amici.
Il pomeriggio fu interamente dedicato al nuovo passatempo divenuto a lungo praticato. Senza controlli e controllori, il nostro gruppo si abbandonò a trovate ardite come ‘galoppare’ a cavalcioni delle bombe percosse con verghe, oppure saltare con impeto da un ordigno all’altro per arrivare prima alla parte opposta.
Fu però l’arrivo degli Alleati con i genieri impegnati alla ricostruzione dei ponti e con un enorme equipaggiamento bellico destinato alla cacciata delle truppe tedesche inchiodate sul fiume Senio, ad accendere le fantasie di noi ragazzi sempre in mezzo ai soldati per scrutare ogni loro movimento e i marchingegni utilizzati. Probabilmente non davamo fastidio compensati come eravamo da squisite tavolette di cioccolata e da leccornie mai viste.
Un acre odore particolare che impregnava l’aria ci portò presto a contatto con un liquido sconosciuto per noi bambini, la benzina. Scorreva a fiumi, impregnava l’aria, anche all’aperto. Ce n’era ovunque; arrivò dappertutto, perfino nelle case conservata in bottigliette. Diventò subito familiare a tutti: accendeva camini e stufe, puliva, smacchiava e altre cose ancora. Serviva anche a noi ragazzini per fare esplodere barattoli appositamente riempiti.
A me piaceva molto salire sugli automezzi militari impregnati tutti di quell’acre odore.
Giovanni, un simpatico giovane soldato polacco, spesso mi portava in giro sul suo veicolo militare, un rumoroso camion inzuppato di benzina. Era un Dodge piuttosto ammaccato e arrugginito.
Il breve ma felicissimo percorso di andata e ritorno a me riservato come passeggero, iniziava dal borgo Strada e terminava a Fognano. Oltre non potevo andare perché zona di guerra, così mi diceva. Mi capitava spesso di osservare il polacco mentre faceva il pieno di benzina o il cambio dell’olio, due elementi per me nuovi ma divenuti di grande uso domestico subito nelle settimane successive.
L’olio lubrificante, proprio quello dei motori, finì ben presto nelle case private utilizzato dagli adulti per rifornire le tavole di cucina dei necessari bicchieri di vetro ormai introvabili in quel periodo.
Per realizzarli si versava un certo quantitativo di olio in scelte bottiglie vuote entro le quali si introduceva rapidamente un ferro arroventato. La reazione provocata tagliava di netto la bottiglia esattamente a livello dell’olio.
La cosa però più desiderata dagli adulti e dai ragazzini erano le polveri da sparo. Gli esemplari che imparammo subito a conoscere e a usare anche per divertimento, avevano la forma di spaghetti di varie lunghezze e di diverso calibro, pieni all’interno o forati come sottili tubolari. Infiammabilissimi com’erano, accendevano con facilità la legna più restia.
Ben presto entrarono abbondanti in tutte le case: bastava chiederli oppure… prenderne i mazzetti dai loro depositi originali accessibili a tutti.
Nelle case si tenevano a portata di mano vicino a stufe e camini….
Particolarmente bramosa di questa manna incendiaria era la contadina Angiolina, mia vicina di casa. Se ne accaparrò un grosso quantitativo accantonato in diversi angoli della cucina. Vari mazzetti finirono anche all’interno di una stufa economica inutilizzata.
Passato il fronte e partite le truppe alleate, forse in occasione di un evento familiare, la contadina trovò utilissimo l’uso di quella stufa per dare un buon aiuto al camino insufficiente a cuocere le numerose pietanze.
Il rumore dello scoppiò richiamò immediatamente alcuni vicini allarmatissimi.
La cosa più evidente e grave che vedemmo tutti fu un tratto di parete incrinato e un angolo del soffitto sconnesso. Piuttosto malconcia ma fortunatamente illesa risultò la nostra Angiolina, illesa per caso in un riparato angolo della cucina.
Anche noi ragazzi eravamo abbastanza ‘affezionati’ a questi spaghetti, con preferenza per i tubolari i quali, una volta accesa una estremità, partivano come piccoli razzi frusciando e zigzagando nell’aria in tutte le direzioni, capaci di infilarsi in ogni dove, comprese finestre aperte e pagliai.
I pericoli erano certi e ma il gioco era troppo bello.
Purtroppo uno di noi ne fece le spese. Uno spaghetto dispettoso finì il suo convulso zigzagare sotto il braccio destro di Ofelio detto amichevolmente Pelèna, di qualche anno maggiore di me. Ne portò le difficili ustioni per molto tempo.
Molto peggio avrebbero potuto concludersi gli ultimi giochi inventati sfruttando altro pericoloso materiale bellico.
Ce li suggerirono i tanti barattoli di latta svuotati e sparsi in giro dai soldati. Molti di questi contenitori presentavano su una base cilindrica due fori dovuti al loro utilizzo, molto pratici per introdurre fili di esplosivo.
Riempito l’involucro, vi si infilava come miccia un lungo spaghetto acceso. Lo scoppio era assicurato con questo risultato: le giunture del barattolo fondevano, la superficie cilindrica diventava un rettangolare mentre le due basi rotonde e taglienti venivano proiettate lontano passando in mezzo a noi disposti in circolo. Provammo anche delle varianti aumentando a caso il quantitativo dell’esplosivo.
Non contenti di queste bravate, gli amici più grandi osarono l’inosabile utilizzando in mezzo a un campo impantanato barattoli di latta privati di una delle due basi, operazione che permetteva di introdurvi facilmente cartucce metalliche integre di varie lunghezze immerse in benzina accesa. I vicini depositi militari ne erano fornitissimi.
Immerse nella benzina le cartucce intatte disposte con i proiettili a raggiera verso l’alto, i ragazzi ‘esperti’ erano sicuri che le fiamme avrebbero fatto esplodere le capsule poste alla base dei bossoli. Ragionamento più che valido, direi. Non consideravano però che il tempo per fare consumare fino in fondo al barattolo la benzina sarebbe stato molto lungo. Ritardo benedetto che ci spingeva a dare calci di delusione ai barattoli dopo breve attesa.
Chiedo scusa, stavo dimenticando gli strascichi impietosi della mia guerra infantile che riaffiorano periodicamente sotto forma di incubi. Sono riflussi onirici sconvolgenti che mi ripropongono soffocanti sensazioni di morte, sempre steso a terra in una pozza di sangue crivellato nel corpo da proiettili o schegge.
(Filippo Briccoli- Biblioteca Privata-Ravenna )
Il Prof. Gurioli Mario ha tracciato un quadro dal quale traspaiono chiaramente la sua stima per Ada, la sua capacità di tratteggiarne la figura, il carisma, la verve, l'animo buono e sensibile. Lo fa con leggerezza nella quale io avverto anche l'affetto di un amico sincero. E mi commuovo...
C. C.
L'articolo è stato pubblicato su IL Piccolo il 7 gennaio 2021
Una bella figura quella dell’Ada di Fognano
Nell’ottobre scorso Ada Ciani, vedova del dottor Giuliano Trerè, nata nel 1925, ha concluso la sua lunga vita: “una vita (riporto quanto è scritto nel ricordino) piena, interessante, mai banale e ben spesa…”
Una bella figura quella dell’Ada, una donna che, con la sua semplicità e tanta cordialità, sapeva trasmettere la grande ricchezza interiore di cui era dotata. Ne sono testimoni i suoi ragazzi, quelli che ha avuto come alunni nei tanti anni di insegnamento a Lavezzola, alla Castellina, a Fognano, che hanno usufruito della sua creatività didattica e che, riconoscenti, hanno poi continuato a manifestarle stima e affetto. Nel suo lavoro, inteso come una missione, erano veramente tanti gli strumenti di cui si serviva Ada e per favorire l’apprendimento e per rendere le giovani generazioni consapevoli e partecipi della realtà in cui stavano crescendo. A questo proposito voglio ricordare il concorso dialettale, intitolato a Elvio Cornacchia per tenerne viva la memoria, che nelle dieci edizioni (dal 1975 al 1984) coinvolse centinaia e centinaia di alunni della scuola dell’obbligo e i loro insegnanti nella riscoperta delle tradizioni, del dialetto e della realtà del territorio di Brisighella. Ogni anno un tema: Vén e cantèna, E’ mi paés, I fiur de mi paés, El Madonen, E’ magné d’na volta, L’erbie ch’o’ m pies a me, Ona poieseia com o’m’pê a me, Quand ch’o si evdeva, Zugh e zuglen d’ona volta, Temp ed guera. Ohi, badate bene, il concorso era una cosa seria, con tanto di giuria di alto livello! Le centinaia di elaborati segnalati, e la segnalazione ve lo garantisco era veramente meritata, venivano raccolti in un volumetto, corredato da alcuni disegni, con nome e cognome degli autori, la classe, la scuola di provenienza e, se necessaria, la traduzione in italiano. Un lavoro impegnativo che andava a buon fine grazie alla macchina organizzativa messa in piedi da Ada, donna del fare, che si concludeva con una serata di premiazione nel teatro parrocchiale.
Fu proprio un sabato sera di quarant’anni fa, in occasione del settimo concorso dialettale, che io la incontrai la prima volta. Ada e don Antonio Poletti avevano chiesto a Giuliano Bettoli un breve intervento comico in dialetto e lui volle che io l’accompagnassi per uno di quei nostri sketch in cui da “Sfrocc” mi esprimevo nel dialetto di Lutirano. Quella mia parlata riportò l’Ada agli anni della sua infanzia perché lei era nata e vissuta a Lutirano fino all’età di nove anni. Tanto bastò per metterci in sintonia e per dare il via a un’amicizia che si è mantenuta viva nel tempo. Ritornai varie volte a Fognano, sia per le successive edizioni del concorso sia per assistere ad alcune esilaranti esibizioni della FiFeFo (la Filodrammatica Femminile Fognanese) di cui Ada era l’anima, la colonna portante. Era lei che, con il suo spiccato senso dell’umorismo, scriveva i testi di farse, commedie, e ne delineava i personaggi che poi venivano caratterizzati dalle altre con una grinta tale da strappare applausi a scena aperta: una compagnia di sole donne che saliva sul palco per la voglia di stare insieme, di divertirsi e di divertire!
Ada era una di quelle persone dal carattere aperto, solare, che trasmettono simpatia, con cui ci si sente bene e ogni volta che la incontravo era per me un piacere stare ad ascoltarla; lo stesso piacere che provavo e provo ancora nel rileggere le tante cose che ha scritto, le sue poesie, i suoi racconti. Ada ci ha lasciato pagine deliziose in cui rivivono i fatti, i personaggi, i paesaggi, le stagioni di quel piccolo mondo paesano e rurale di cui lei con la sua sensibilità è stata a sua volta un’attenta protagonista. Le sue pagine, dove non c’è nostalgia per ciò che è andato via via scomparendo, sono piene del suo affetto per quel mondo fatto di quasi niente e del sorriso di Ada che ce lo descrive. Per concludere riporto dal racconto “Laura dei Brigidini” quanto scrisse Ada in occasione della morte della sua amata nonna Laura: “seduta sulla sua seggiolina bassa davanti al focolare acceso, il bricco del caffè che fumava sul treppiedi, se ne era andata leggera come le scintille che sprizzavano dal ciocco. E fra quelle è rimasta ed è luce nei miei ricordi. La vedo, la sento, so che mi è vicina anche adesso”.
Anche tutti quelli che hanno conosciuto Ada e le hanno voluto bene la vedono, la sentono, sanno che gli è vicina anche adesso.
Prof Mario Gurioli
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*Compito del pittore è convincere la materia a farsi luce.
(Fabrizio Caramagna)
*Preferisco dipingere gli occhi degli uomini che le cattedrali, perché negli occhi degli uomini c’è qualcosa che non c’è nelle cattedrali, per quanto maestose e imponenti siano.
(Vincent Van Gogh)
*La pittura è una poesia muta, e la poesia è una pittura cieca.
(Leonardo da Vinci)