Indice dei racconti:
Una bambina sfollata--Il sogno di Tonino--Al mio amico Giuseppe--Giallo a Fognano 1977--Giuggiole compromettenti--I due Profughi-- La Scatola del Diavolo--L'Antica Osteria della Torre-Pippo1 e Pippo 2 -Cartoline delle mie vacanze -Una frontiera problematica -Storia di una vita difficile- La Madonna dell' Uva- Un Angolo felice-Il compito di Romano- Alla Sagra Medioevale di Brisighella-Frammenti- Gianì della Buca- La vecchia Osteria della Torre- La scatola del diavolo- I due profughi ovvero Il senso dell' altruismo - L'Enigma-Agosto 2016 Tempo di stelle cadenti-
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Una bambina sfollata
Il fronte si stava avvicinando, si capiva dal cannoneggiamento più insistente di prima e dal frequente passaggio di aerei in cielo. Io guardavo il loro luccicore argenteo ma gli scoppi delle granate e il rombo dei bombardieri mi procuravano dei dolori alla pancia. Sentivo la mamma dire al papà che era la paura a farmi questo. Sapevo che i colpi spaventavano i cani perché li vedevo correre a nascondersi sotto il letto, sotto i mobili e tremavano. Mio padre decise che era ora di lasciare il paese e di trasferirsi in campagna. Conosceva molti contadini, ma si rivolse a Pietrino della Fontanella che ci accolse volentieri anche se la sua fattoria era già colma di altri sfollati. Ci assegnò uno stanzino in soffitta e lasciò che mio padre trasferisse due botti di vino dalla nostra osteria in una sua rimessa. Nello stanzino dovevamo trovare posto in quattro: i miei genitori, mia sorella di 17 anni e io di 8. Dormivo su un baule più corto di me e i miei piedi rimanevano fuori. Ero contenta di vivere in mezzo ai campi, però avevo l’ordine di rimanere nei paraggi della fattoria senza allontanarmi. Una mattina arrivarono dei soldati tedeschi e occuparono il capannone. Il mio babbo pensò subito che le sue botti di vino, tutto il suo capitale in quel momento, avrebbero fatto una brutta fine, invece quei soldati, malridotti e con poco da mangiare, erano gentili con tutti noi, specialmente con me. Mi facevano giocare, scherzavano e mi mostravano le foto dei loro bambini. Però non mi piacevano le loro polpette fatte con tanta cipolla e poca carne e parlavano diversamente e io non li capivo. La mamma diceva che erano miserevoli, malconci sia nei vestiti che nel cibo. Un soldato le chiese il favore di lavare la sua biancheria intima e una coperta. La mamma acconsentì, ma fu disgustata nello scoprire che erano pieni di parassiti. Provò tanta pietà per quei ragazzi, disse che anche loro erano figli di una madre.
Siccome i colpi di mortaio cadevano nei campi sempre più vicini alla fattoria, tutti gli sfollati decisero di dormire nella stalla. Solo mia sorella volle rimanere in soffitta e guardare le stelle attraverso le fessure tra le tegole. Io dormivo nella mangiatoia. Il respiro caldo della gente e delle mucche si trasformava in gocce che scorrevano lungo i muri in rivoli caldi. Forse nella mangiatoia si radunavano e inumidivano la paglia, ma io dormivo comunque.
I Tedeschi ci rassicurarono dicendo che sarebbero venuti gli Americani e gli Inglesi, che avevano abbondanza di tutto, e noi saremmo stati molto meglio con loro. "E tutti noi Kaputt", aggiunsero. Nessuno mi tradusse quella parola.
Era il 1943. Lungo la strada principale, che vedevamo da lontano, passavano carri armati, soldati, camion militari e persino mandrie di animali. Era l'esercito tedesco che si ritirava verso la pianura, specialmente di notte. Anche i “nostri” tedeschi partirono di notte.
Una mattina Pietrino decise di portare una mucca, che chiamava Bianchina, al toro in un piccolo paese a pochi chilometri di distanza. Arrivato sul posto trovò carri, mortai, munizioni e molti soldati che si erano fermati a riposare in attesa di riprendere il viaggio notturno. Pietrino fu subito fermato e la vacca requisita. Cercò di spiegare perché fosse lì, di protestare, ma in risposta ricevette uno spintone e sentì una voce imperiosa gridargli: RAUSS! Pietrino, con un groppo in gola che quasi gli impediva di respirare, riprese sconsolato la via del ritorno, pensando alla sua disgrazia, perché Bianchina era un bene prezioso per lui e per la sua famiglia.
Eravamo tutti nella stalla, ognuno sulla sua porzione di paglia e io nella mangiatoia che mi pareva una culla anche se non dondolava. Si sentivano scoppi di granata e c’era qualcuno che li contava, qualcun altro che emetteva lamenti o mormorava delle preghiere. Ad un tratto la paura crebbe: intorno a casa si sentirono dei passi pesanti. C’era qualcuno che camminava, a momenti sembrava che corresse o addirittura che galoppasse. Nessuno trovava il coraggio di andare a vedere di cosa si trattava. Dopo un po’ il babbo di Pietrino, il più vecchio, decise di aprire la porta della stalla. Nel buio scorse una massa biancastra che gli si avvicinava. Cominciò a gridare, si voltò verso l’interno della stalla e agli sfollati spaventatissimi urlò tra i singhiozzi: “E’ la Bianchina, è tornata la Bianchina!” Com’era possibile, eppure era proprio lei. Evidentemente quando la mandria aveva raggiunto il nostro paese, Bianchina aveva riconosciuto l’imbocco della strada che conduceva alla fattoria e si era defilata.
Per me era arrivata l'America!*
*Dopo la povertà lasciata dalla prima guerra mondiale, molti Italiani partirono verso l’America (U.S.A.) in cerca di una vita migliore. Raggiungere l’America era il sogno di tanti. Nell’immaginario collettivo, era il paese dove c’erano lavoro, benessere, soldi, fortuna. Da allora è rimasto il detto “trovare l’America” nel senso di fare fortuna, trovare l’abbondanza
C.C.
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Dalla Scuola Elementare
-Se si mette un elastico vicino alla gamba si sente un formicolio.
-La nebbia è un'aria che si è formata un po' imbrogliosa che ti puoi anche incozzare.
-I canali servono per portare l'acqua nei campi e i colli collinari sono resi coltivabili.
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Il sogno di Tonino
(Racconto scritto dopo la testimonianza di Tonino coadiuvata da quella di sua moglie. I nomi sono inventati.)
Dov'è finito il racconto?
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Da Fiori di Banco
-Alla falciatrice ci misi il carrello che è quell' attrezzo che si mette a sedere quando deve fare viaggi lunghi.
-I potenti Faraoni volevano che i corpi morti venissero deposti in tombe meravigliose perché gli egiziani credevano che dopo morti i corpi si profumassero.
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Al mio amico Giuseppe
E’ vero, la nostra vita è come un filo sottile. Poche ore fa sono andata al funerale di un mio compaesano, della mia stessa età, un amico. L’avevo salutato due giorni fa agitando la mano come eravamo abituati a fare. Scendeva lungo il viale in bicicletta. “Ciao, Giuseppe”. Ci siamo scambiati un amichevole saluto. Come potevo immaginare che era l’ultimo? Il mattino dopo suo figlio l’ha trovato in fondo alla scala del garage. Teneva ancora in mano una scatoletta di tonno. Solo il gatto è stato testimone dei suoi ultimi momenti. Spero abbia passato la linea senza rendersi conto, senza alcun triste pensiero di paura o di rimpianto per tutto quello che stava per perdere.
Era un gran lavoratore. La sua vigna era considerata da lui il suo piccolo Eden. Ogni cosa, ogni pianta, ogni zolla, oserei dire ogni foglia, era esattamente al suo posto. La vigna era sul fianco della collina, al centro di essa c’era un capanno per gli arnesi e una tavola di sasso sulla quale alcuni bicchieri e una bottiglia di vino erano sempre pronti per i visitatori. Anche i frutti del momento, appena raccolti dall’albero, non mancavano e il loro sapore faceva pensare al nettare degli dei. Fuori del capanno, molte specie di fiori mostravano i loro vivaci colori. Non lontano, un largo cespuglio di rosmarino coi fiori azzurri spargeva nell’aria il suo effluvio insieme alla salvia e ad altre erbe saporite per la cucina.
Un giorno aveva insistito perché andassi a visitare la sua vigna. Mi disse che aveva trovato un trucco per evitare che i merli gli mangiassero le ciliegie. Salendo la collina, fui attratta da raggi luminosi che venivano dal suo terreno e non tardai molto a vedere che Giuseppe ne aveva trasformato l’aspetto. Aveva inserito bottiglie vuote di acqua minerale capovolte su ogni paletto che reggeva le viti e il sole le faceva scintillare, brillare e luccicare. Gridai: -Giuseppe, credevo di venire nella tua vigna invece sono arrivata in un pianeta sconosciuto”. Lui rise e disse che, dopo aver raccolto pochi cestini di ciliegie per la sua famiglia, avrebbe tolto le bottiglie e avrebbe lasciato che gli uccelli mangiassero ciliegie a loro piacimento.
Giuseppe aveva uno sconcertante rapporto con gli animali selvatici che spesso visitavano la vigna. Quando si accorgeva che si avvicinavano dei caprioli, si nascondeva nel capanno e spiava le loro mosse e le loro intenzioni. Nel momento in cui stavano per fare qualche danno, si infilava due dita in bocca ed emetteva un fischio forte e lungo per spaventarli, infatti scappavano velocemente verso la cima della collina. Naturalmente sapeva che sarebbero ritornati durante la notte e che doveva rassegnarsi.
Qualche volta, quando ritornava, scopriva che i porcospini avevano scavato e mangiato le patate. Forse si arrabbiava e gridava, ma non avrebbe mai pensato di uccidere uno di quegli animali. Un giorno scoprì due gazze che bevevano nel bicchiere di vino rosso rimasto sulla tavola di sasso. Questa cosa l’aveva divertito tanto che da allora aveva sempre lasciato una ciotola con un po’ di vino per le gazze, molto compiaciuto che anche a loro piacesse il suo vino.
Gran parte degli abitanti di Fognano erano presenti al funerale e hanno accompagnato la sua bara al cimitero. Caro amico Giuseppe, guardo le nuvole illuminate dal sole e agito la mano ancora una volta. Forse sei lassù ed è certo che stai guardando la tua famiglia, il tuo gatto e la tua vigna. Spero anche i tuoi amici.
Ciao, Giuseppe.
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Da Fiori di Banco
-A Genova c'è un faro dove mettevano le navi da combattere e quelle da fare il commercio.
-La prima crociata partì disarmata e quando arrivarono in Palestina si meravigliarono perché gli Arabi erano tutti armati e le Crociate no.
-Le Crociate servivano per liberare il sepolcro di Cristo che era in Palestina avvolto dai Turchi
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Giallo a Fognano 1977
Da un po’ di tempo il Sospetto aveva notato che, puntualmente, due sere alla settimana, si verificava uno strano movimento davanti al portone del Convento. A gruppetti, alla spicciolata, signore giovani e meno giovani, si avvicinavano furtive al citofono e bisbigliavano qualcosa (forse una parola d’ordine) e sparivano all’interno. Più sospettoso che mai, il Sospetto ghignava, fiutando il losco. Un complotto politico? Una setta segreta? Festini? Droga? Il dubbio lo rodeva.
Una sera attese l’ultima donna e si insinuò dietro di lei; la seguì passo passo nella penombra del lungo corridoio deserto. Ad un tratto la donna entrò in una stanza richiudendosi la porta alle spalle. Il Sospetto accostò l’orecchio e allibì: inframmezzata a scricchiolii sinistri di giunture e articolazioni, si levava una imperiosa voce: -In ginocchio! Spingere più forte, ancora di più! Veloci, veloci, veloci!- Un coro di lamenti le faceva eco: -Ahi, la mia schiena! Ohi ohi, il mio osso sacro! - Una sala di tortura, dunque. E in Convento! Chi l’avrebbe mai detto. Il Sospetto si stropicciò le mani, i suoi occhi luccicarono di soddisfazione. Aveva fatto una scoperta sensazionale che avrebbe messo sottosopra il paese come una bomba. Assaporava il trionfo, quand’ecco arrivargli all’orecchio queste parole: -Io codesto esercizio un lo fo .Ovvìa!- Sarà stato l’accento toscano, sarà stato il tono deciso ma bonario della voce(Anna Focaccia?), fatto sta che il Sospetto sentì crollare di colpo il suo castello di carte. Ma allora facevano ginnastica, ecco cosa facevano. Si udì un incoraggiante “dai che ce la fai”; uno scoraggiato “basta, a s-ciop.- (scoppio). Poi la voce imperiosa comandò: “Poggiate le mani sui glutei”. “Csèi mo i blutei?” (che cosa sono i blutei?), chiese qualcuno (Fella Ceroni) dal fondo. Seguì un coro di risate.
Il Sospetto represse un singhiozzo di rabbia e di delusione.
C.C.
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Da Fiori di Banco
-Io sono un soldato romano e mi chiamo Muzio Scevola e punirò la mano che ha sbagliato e così la chiamo Mancina.
-Disse Caio Duiglio:- Calate i corvi!- e calarono subito e sul ponte i carteginesi meravigliati dei corvi perse Cartagine e vinse Roma.
-Quando Teodosio mor' aveva due figli e lidivise così: Te onofrio prendi occidente cn a capo Costantinopoli e te Arcadio prendi oriente con a capo Milano e poi Ravenna. Così per tre giorni Roma fu saccheggiata.
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Giuggiole compromettenti
E' il 10 ottobre del1993. Esco dal Collegio Emiliani dove ho partecipato all'undicesimo incontro delle ex allieve esterne. Pioviggina. Mi fa male il piede che mi sono infortunata domenica scorsa e vado verso casa zoppicando. Nella curva della Pesa, vicino a un furgoncino con la sponda laterale abbassata, un contadino della nostra campagna si è improvvisato commerciante. Mi fermo a guardare: due cassette di marroni, una di noci, qualche sacchetto di ceci...Il mio sguardo viene attirato da una cassetta di giuggiole dove c'è un pezzetto di carta strappato da un foglio di quaderno con su scritto: 600 lire A Letto. Non posso fare a meno di chiedermi divertita: "E fuori del letto quanto costeranno?" Continuo a guardare. Quelle due maiuscole rivelano la determinazione del contadino: A Letto! Non oso chiedere un Letto di giuggiole, sarebbero decisamente troppe e, per quanto il materasso possa essere " il massimo che c'è", come cantavano Arbore e compagni, non voglio azzardare. Me ne vado dopo aver comprato quattro peperoni verdi che il venditore mi ha consegnato dicendomi perentorio e al tempo stesso confidenziale:
-Dammi 500 lire- Non specifica se A Letto o no. Nel dubbio e, a scanso di equivoci, mi allontano più alla svelta che posso...
C.C.
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Da Fiori di Banco
-Muzio Addendo stava nella pianura di Cudignola. Disse:- Se la zappa cade per terra vado in ventura-. La zappa cadde e lui partì fuggendo di notte e quando arrivò all'accampamento ben presto Addentò il capitano.
-I ladri che non rispettano le leggi vengono quasi sempre messi in prigione.
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I due profughi ovvero IL senso dell’altruismo
Una volta era un pastore, uno di quelli che trascorrevano settimane nei pascoli con le pecore. Negli anni aveva saputo cogliere le occasioni favorevoli mettendo a frutto le sue capacità imprenditoriali e ora possedeva un allevamento ultramoderno con molti dipendenti e una grande casa dove non mancava nulla.
L'inverno aveva già posato sui campi la sua mano di ghiaccio coprendola con un freddo mantello bianco. Come al solito, ogni tanto guardava attraverso l’ampia finestra senza alzarsi dalla sua comoda poltrona davanti al caminetto. Le scintille che salivano su per la nera gola del camino e i ceppi di legno scoppiettanti lo rallegravano. Era decisamente un uomo soddisfatto.
Un giorno qualcuno lo informò che una coppia di profughi si era rifugiata da qualche tempo in fondo alla sua proprietà, in un vecchio fienile malridotto che intendeva demolire perché inutilizzato da tempo. Quando seppe che la donna aveva dato alla luce un bambino, temette che quegli intrusi sarebbero rimasti a lungo nella sua proprietà. Decise di recarcisi immediatamente. Salì sulla sua Land Rover, passò a consultare il suo avvocato ed arrivò davanti alla stalla mentre una vecchietta, moglie di un suo operaio, deponeva sul fieno accanto al bambino una coperta di lana lavorata all'uncinetto. Si fermò un attimo a guardare la scena: nuvole di vapore uscivano dalle narici di un asino che rappresentava l'unica fonte di calore. Un riflesso dorato illuminava l'interno come se ci fosse una luce nascosta e questo lo sorprese: sapeva benissimo che i fili della corrente elettrica non passavano da quella parte. Strano a dirsi, iniziò a provare una sorta di soggezione di fronte a quella donna e quel bambino che lo guardavano in silenzio. Meglio sbrigarsi. Senza dire una parola, prese di tasca il documento con l'ingiunzione di sgomberare al più presto il fienile e lo mise sulla soglia insieme al pacchetto di pannolini che aveva comprato in paese affinché nessuno potesse dubitare del suo buon cuore. Poi si allontanò velocemente, come se fosse inseguito, felice di rientrare in casa. Per soffocare il sottile senso di disagio che lo aveva preso, si lanciò in un acceso discorso contro coloro che non fanno nulla per aiutare gli altri. Preso dalla foga oratoria, si spinse lontano riunendo le istituzioni, le forze politiche, gli enti di beneficenza, la Protezione civile, I volontari…Biasimò il Sindaco che non provvedeva a trovare alloggi adeguati. Inveì contro l’ENPA che permetteva lo sfruttamento di una povera bestia. Si accalorò contro l’USL che lasciava vivere un bambino in condizioni antigieniche. Dimostrò la negligenza del governo che non emana leggi a tutela dei profughi. Accusò i Sindacati di battersi solo per l’aumento degli stipendi e non per le buone cause. Si chiese poi a che cosa servono il WWF, la Magistratura, i giornalisti, la forza pubblica…Poi si fermò, esaurito come una pila scarica.
Soddisfatto di aver messo a tacere la coscienza, andò alla porta e chiuse fuori il mondo.
C.C.
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Da Fiori di Banco
-Gli uomini primitivi presero del fango, fecero dei sassi così il primo nuraghe si formò.
-Venezia cominciò male perché i palazzi erano povere capanne di legno. Dopo un po' i Veneziani costruirono altri palazzi di marmo come la Piazza di San Marco.
-La canoa è un buco scavato in un tronco.
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La scatola del diavolo
Maria era andata alla sorgente, il bambino dormiva tranquillo nella mangiatoia nonostante che un filo di paglia gli stuzzicasse il nasino ad ogni suo movimento. Giuseppe posò il cesto che stava intrecciando e cominciò a mettere ordine tra i regali che la gente accorsa da ogni parte aveva portato. Trovò una grossa scatola con dentro una cosa che somigliava stranamente a un televisore. Premette il tasto e si sedette accanto al bue. Sullo schermo un nugolo di scope impazzite cominciò a saltare dal cortile verso le finestre di un condominio. Un ippopotamo consigliò alle mamme il pannolino più adatto ai loro bambini. Una camicetta fece strapp. Il caffè andò giù ma tirò su. Il brodo diventò doppio. I buoni furono purgati con la dolce Euchessina. Una caramella si sentì nella bocca e nel naso, la dentiera diede un morso alla mela. Il grissino tagliò il tonno. Un cofanetto Sperlari non si lasciò incartare. La carta igienica fuggì coi palloncini. Il torroncino d’autore non fece rumore. Un sofficino al formaggio sorrise. lI metano diede una mano. Il ladro e la spia non mangiarono la Golia…
Giuseppe cominciò a sentirsi a disagio. Che cosa stava succedendo dentro quella scatola? Non erano forse tante diavolerie? In quel momento apparve sullo schermo uno strumento che, soffiando vapore, cercava di snidare dalle fessure del pavimento ‘’ quel diavolo di sporco”. Dunque, si trattava di lui, c’era lo zampino dell’innominabile! Non era più solo un sospetto. Tentò di sollevarsi, la testa gli girava. Strani messaggi gli ronzavano negli orecchi e il cervello li ripeteva ovattati e insistenti come un’eco. "Lava e sbianca", "Stira e ammira", "Passaparola", "Meditate gente, meditate". Con un riflesso istintivo rovesciò la scatola chedi colpo tacque. Caricò le poche cose sull’asino, chiamò Maria, prese il bambino e fuggì. Andò e andò, volgendosi ogni tanto come se quella scatola potesse lanciare al loro inseguimento una lunga scia di parole insensate e di assurde immagini. Andò senza tregua.
Pare si fermasse solo molto lontano quando si accorse di essere giunto all’estero, in Egitto.
C.C.
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Da Fiori di Banco
-I Sanniti piombarono addosso ai Romani e gli svestirono.
-Mosè sul monte Sinai chiese una grazia e Dio gli manda due tavole e sopra quelle due tavole c'erano i comandamenti. Mosè tornò giù e vide che il suo popolo adorava un vitello d'oro e allora gli venne rabbia e tornò sul monte.
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La sorgente del Suffragio detta della Cavina
Tempi di scarsità erano quelli, prima, durante e subito dopo la guerra. Era scarsa anche l’acqua nelle fontane pubbliche che spesso veniva giù a filo e la coda coi secchi si faceva lunga e cresceva l’attesa. “Vai a prendere una bottiglia di acqua fresca alla sorgente della Cavina”, mi diceva spesso il babbo. In cima al vicolo, una ripida scaletta dai gradini fatti di ciottoli fermati col cemento, scendeva fino a uno zampillo incessante che usciva dal rivale perdendosi verso il rio Bagno. Una sorgente fantastica, fredda d’estate e calda d’inverno tanto che si vedeva il vapore disperdersi nell’aria. Le donne ne approfittavano per lavare i panni più piccoli nei mastelli. I lenzuoli invece andavano a lavarli nel lavatoio costituito da due grandi vasche sempre piene, situate dietro il campanile della piazza. Alla sorgente facevano ricorso per rifornirsi d’acqua per la cucina e i lavori domestici. Mi raccontava Rosina ed Sarafot:- Dicevano che non era acqua da bere. Il Comune aveva messo anche un cartello. Io l’ ho sempre bevuta e sono ancora qui. – Rosina qui è davvero rimasta e molto a lungo, lucida, vivace e indimenticabile. E’ morta a 100 anni , quasi 101, circa 6 mesi fa. Forse quell’acqua, ricca di ferro, l’ ha resa forte come il cemento armato…
Solo più tardi qualcuno costruì sotto allo zampillo una vasca di cemento con lavello che facilitò il lavoro delle lavandaie. La vasca era diventata il frigorifero della zona, specialmente per i cocomeri. Il luogo era anche zona di ritrovo. Mentre le mamme erano intente a lavare, a sciacquare verdure, a pulire prodotti dell’orto, i bambini giocavano a nascondino o a spruzzarsi.
Non si sa quando, la sorgente fu incorniciata da una nicchia che faceva pensare a un’edicola per un’immagine religiosa. Infatti, c’era una madonnina che venne poi rubata un po’ di anni fa quando si susseguirono furti di madonnine in tutto il paese. Nel 2012 Luigi Ragazzini di Pontenono applicò sopra la sorgente una delle sue dolci Madonne con Bambino, incisa su una tavola di pietra serena. Nel 2015 l’ ha poi sostituita con un ’altra Madonna simile, ma incisa, con improbo lavoro di fatica e pazienza, su una lastra di pietra molto più dura che ne ha reso i contorni più evidenti. Qualcuno dei dintorni non le fa mancare i fiori e spesso aggiunge un lumino.
La sorgente continua a zampillare instancabile dopo più di un secolo. Peccato che, per ovviare a un ristagno d’acqua dopo le piogge, causato da un carente scolo seguito alla costruzione del muro sul rio Bagno, qualcuno ha eliminato la vasca e ha incanalato lo zampillo in un tubo di plastica arancione. E’ così che purtroppo vengono a mancare dettagli ormai storici del nostro paese,( come le vasche-lavatoio pubbliche della piazza, distrutte per far posto a una pescheria di breve durata), dettagli testimoni di un passato destinato a scomparire insieme a loro e insieme a noi che li abbiamo conosciuti.
Note - Ora la sorgente si può raggiungere comodamente percorrendo una ventina di metri lungo il muro sul rio Bagno dopo aver sceso i tre gradini all’inizio del ponte, presso la casa fiorita di Beppe e Lucia Melandri.
Un riconoscente ringraziamento a Luigi Ragazzini per la nuova Madonnina, grazie al muratore Bruno Galeotti per averla collocata e grazie a Pinetto Bandini per la collaborazione.
C.C.
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Da Fiori di Banco
-Quando Gesù è nato ci ha creato il mondo e le città e poi ci ha creato noi e le persone.
-La lotta per le investiture fu fatta così. Il Papa a Enrico IV glielo mandò a dire un mucchio di volte che smettesse di fare i vescovi che li voleva fare lui, ma Enrico IV faceva conto di niente e continuava a fare i vescovi allora il Papa si stufò e lo fece stare tre giorni con i piedi in mezzo alla neve.
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Cartoline delle mie vacanze
Quando vado in vacanza faccio la turista. Guardo le bellezze paesaggistiche e quelle artistiche segnalate dalla guida. Mi piace, però, cogliere i particolari, gli usi, le differenze, le cose tradizionali che mi incuriosiscono perché si discostano da quelle dell'ambiente in cui vivo. Per questo non è necessario andare lontano, mi basta aprire gli occhi, possedere curiosità, interesse e voglia di scoprire. Sono come cartoline che si formano nella mente e lì rimangono tra i ricordi e a volte affiorano.
In questo momento vedo un paesino di montagna ed entro nel cimitero. C'è una distesa di croci in ferro battuto che gli artigiani, profondendo la loro creatività e perizia, hanno ornato di inserti di ottone lucente. Le tombe sono piatte e vi sorgono fiori di tanti colori, lungo il bordo o a ciuffi, resi rigogliosi dalla cura e dal clima favorevole. Su ogni tomba è appoggiato un pentolino di rame con acqua in cui è immerso un ramoscello di bosso che il visitatore immergerà per dare la sua benedizione. Dai bracci delle croci pendono foglie di terracotta che portano inciso sul retro il nome del parente o dell'amico che ha voluto lasciare un suo ricordo. Tutti questi particolari rendono il cimitero meno triste e ho l'impressione che non solo i morti trovino qui la pace.
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È festa grande al paese invaso da valligiani e turisti. Suoni, profumi, grida, movimento. Mi fermo davanti a uno stand dove è in mostra un vitello. È il premio per colui che indovinerà il suo peso esatto. Ogni tre tentativi di stima, tre euro. Sto a guardare gli uomini che si accalcano e vogliono tentare di vincere quell'ambito premio. Ho voglia di partecipare anch'io anche se non ho alcuna idea di quanto possa pesare un animale come quello che, nel frattempo, incurante del chiasso e del vociare, continua a ruminare girando intorno il suo pacifico sguardo. Spero lo vinca un mandriano e lo porti insieme alle sue mucche a pascolare l'erba profumata dei prati di alta montagna. Il più fortunato, dopo averlo lungamente osservato e soppesato con gli occhi, raggiunge il traguardo: 68,8 chili. È molto soddisfatto e fiero di sè. Un'orchestrina suona in suo onore una canzone popolare che tutti cantano, mentre belle ragazze in costume passano e ripassano reggendo vassoi di boccali di birra spumeggiante. La lunga penna sul cappello del suonatore di fisarmonica sembra battere il tempo nella leggera brezza della sera.
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Il pullman corre attraverso luoghi collinari costellati di vigneti, cipressi e ulivi.. Sui cocuzzoli piccoli paesi sembranoaggrapparsi alla cima del colle come se temessero di scivolare giù. Le case si strigono una all'altra e mi chiedo dcome possano trovareposto le vie tra di loro. Su tutto, proprio sul punto più alto, domin imponente la chiesa. Mi fa pensare a una chioccia che protegge i suoi pulcini.. Ecco in vista il lago e in lontnanaza una delle sue isole emerge dal blu dell'acqua.È collinoso e mi sorprende il declivio coperto di giallo di un lto colle. "Sono ginestre in fioe- penso Che spettacolo!- Dopo essere scesa dal traghetto, decido di vviarmi verso le ginestre. Sono sola e , man mano che salgo e mi avvicino, scopro che non si tratta di ginestre ma di infiorescenze col gambo molto grosso e così alto da superarmi in altezza.. Mi trovo immersa in questa fioritura incantata, bellissima che non conosco. Un piacevole profumo si diffonde tra gli ulivi completamente circondati da questa marea dorata.. Sono estasiata. Cerco una pianta piccolina da portare a casa e e finalmente la trovo proprio in mezzo a un sentiero polveroso. Cerco un sasso appuntito e cerco di scoprire le sue radici. Il sole mi fa sudare, forse ride di me, del mio inutile tentativo perché le racici sono profonde e la terra è dura. A malincuore, rinuncio. Guardo ancora una volta l'azzurro del lago attraverso il giallo dei fiori e comincio a scendere. Al paese,ritrovo gli altri compagni di viaggio, ma io cerco di informarmi dove potrei trovare i semi di quella pianta. Finalmente incontro un abitante del luogo che ha l'oliveto su quel colle. Alla mia richiesta, spalanca gli occhi incredulo,poi ride e mi dà una risposta che mi delude e mi strabilia. Tutte quelle magnifiche piante in fiore sono erbe infestanti.Sono un flagello che costa tanta fatica a chi, come lui, le deve estirpare e radunare in fasci da bruciare.
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Senza alzarmi dalla sedia, sono ritornata in quei luoghi e ho rivissuto le sensazioni che mi avevano dato. Le cartoline dei ricordi sono ancora qui, nella mia mente, e mi permettono di viaggiare senza muovermi. Accolgo con gioia questo prodigio della memoria.
C.C.
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Da Fiori di Banco
-I lbri li compravano solo i ricchi. Quelli che morivano senza leggere erano i peverelli.
-Dopo la scoperta della Merica gli Inglesi si andarono a stabilire nell'Atlantico.
-Una volta si leggeva sulla carta di pecora, ma leggevano pochi.
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Pippo 1 e Pippo 2: venditori ambulanti
Il primo Pippo iniziò la sua attività di venditore ambulante nel 1946. La guerra era finita da poco e tante cose non si trovavano. La sua attrezzatura consisteva in una bicicletta, due cassette e un telo impermeabile. Partiva molto presto la mattina perché il mercato da raggiungere era a chilometri di distanza e le pedalate erano tante. Tutti i giorni ne raggiungeva uno diverso. Nelle due cassette portava 12 paia di scarpe, con la suola di legno e la tomaia di cuoio. Stendeva le scarpe sul margine della strada e, se pioveva, le copriva col telo. Riusciva sempre a venderle tutte e nel pomeriggio ne rifaceva altre dodici paia per il mercato dell’indomani. Il tempo passò, le cose pian piano miglioravano e anche la sua attività divenne più facile perché negli anni 60 e 70 si trovavano scarpe già confezionate. Aumentò il numero di scarpe e aumentò anche la vendita tanto che comprò un furgone e una tenda a due spioventi. Anche i suoi genitori andavano con lui per aiutarlo ed era molto conosciuto nei mercati. Nel 1988 decise di ritirarsi e vendette la sua attività a un giovane rappresentante di calzature. Cominciò così l’avventura del secondo Pippo, giovane, pieno di energia e di entusiasmo. Anche lui frequentava 6 mercati durante la settimana.
La domenica, veniva, e viene ancora, al mio paese. Ora è ben attrezzato, ha un furgone spazioso e una tenda che si solleva e si richiude con comandi meccanici e delle reti degradanti sulle quali espone le scarpe: 120 modelli da donna e 100 modelli da uomo. Questo significa che, considerando le varie misure e le riserve, il numero di scatole va moltiplicato per 7. Quando a fine mattina, rimette le scatole nel furgone, le sistema una pila alla volta e io mi chiedo come faccia a essere così preciso e a non lasciare un centimetro di spazio vuoto in quel perfetto ordine.
È molto gentile e affabile coi clienti ai quali spiega tutte le caratteristiche della scarpa ovviamente con precisione da esperto, accarezzandola con una specie di simpatia per quella sua cosa che sta per prendere vita e camminare. Fa una vacanza di una settimana all’anno, non manca mai, il tempo, anche se brutto, non lo scoraggia. Sopporta il freddo e il caldo senza lamentarsi. Dice che, comunque sia, gli piace stare all’aria aperta, non riuscirebbe mai a fare il ragioniere chiuso in un ufficio. L’ho sempre visto sorridente e sorride anche quando racconta che tante volte si è accorto di qualcuno che lascia furtivamente una scatola vuota portandosi via il contenuto. Spesso conosce il colpevole, ma non gli dice niente, non è capace, non se la sente. Tante volte, quando gli capita di incontrarlo, volta la testa da un'altra parte per non metterlo in imbarazzo. Così si comporta anche con quelli che lasciano il debito con la promessa, mai mantenuta, di pagarle la volta successiva. Non li ferma per chiedere i soldi, non lo fa mai.
È una persona incredibile, positiva che prende la vita senza lasciarsi condizionare da vicende che giudica non meritevoli di dargli delusioni o pensieri. Sarà per questa sua serafica filosofia di vita che non si ammala mai ed è sempre lì, puntuale ogni domenica da così tanti anni?
C.C.
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Da Fiori di Banco
-Carlo Vlll andò a Firenze e voleva dei fiorini d'oro ma Pier Capponi che era il capo della maestratura disse che seli sognavano.
-I Romani erano affezionati al dio Termine. Ci facevano un muretto attorno alle proprie case e se uno ci passava di là se ne avevano a male.
-Quando un olandese inventò la stampa si faceva così: si incideva una tavoletta, ma poi quando aveva fatto una pagina non se ne faceva niente.
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Storia di una vita difficile
Era impossibile non amare Rosina. Era semplice, timida, buona, generosa, e sempre timorosa di disturbare. La vita le aveva riservato tante avversità, ma non aveva indurito il suo animo .Ebbi la fortuna di conoscerla quando venne ad abitare nella casa accanto alla mia, una vecchia casa colonica dismessa. Non era sola, aveva con sè i suoceri e la mamma ultra 95enne, che stava sempre a letto. La mia amicizia verso di lei nacque soprattutto quando, nel corso di alcuni anni, sparirono la mamma, il suocero e poi la suocera.
Andavo spesso da lei e prendevamo un caffè insieme. Aveva conosciuto la miseria nel piccolo, misdro poderucolo tra le colline dove viveva col fratello e i genitori. I campi erano greppi dove solo la zappa riusciva a domare quel terreno arido e a prepararlo per la semina: grano, mais , patate, fagioli. Il raccolto, sempre scarso, serviva per sopravvivere. Rosina aveva il compito di portare ogni mattina al pascolo le loro tre pecore, un tesoro da custodire con cura, e ritornava a casa solo la sera. Non aveva giocattoli, ma sapeva divertirsi con tutto: intrecciava fili d'erba per farsi un braccialetto, faceva collane con le corolle dei fiori, bagnava con acqua un po' di terra e modellava piccoli pupazzi, seguiva le formiche nel loro andirivieni. Quando portava con sè la sua collezione di fagioli, che aveva scelto uno diverso dall'altro per forma e colore di cui era orgogliosa, riusciva a trasformarli in soldatini in marcia, o in bambini in un girotondo o in una pietanza servita su un sasso a invitati di fantasia. Non aveva mai visto una bambola e conobbe un' incredibile polvere bianca e dolce, lo zucchero, solo a 18 anni. In casa facevano economia e per dolcificare usavano il miele delle loro api. La sera accendevano lo stoppino immerso nel petrolio di due bottigliette da inchiostro che il babbo si era procurato chissà dove. Era lui, e solo lui, che scendeva al paese, che vedeva la ferrovia, la corriera, i negozi, il mercato. Vendeva le uova delle loro galline e comprava il sale, qualche aringa, le medicine. L'unica, e sempre ambìta uscita di Rosina, era la camminata verso la chiesetta della parrocchia per la Messa della domenica. Là poteva incontrare altre ragazze e, soprattutto, qualche giovanotto. Fu così che conobbe anche quello che poi diventò suo marito. Pure il fratello trovò moglie e si trasferirono tutti insieme, compresi i suoceri di Rosina, in un podere più a valle da dove vedevano la strada, la stazione ferroviaria e i campi erano meno faticosi da coltivare e più produttivi. Il lavoro dei campi non piaceva molto alla cognata che ogni giorno trovava pretesti per rimanere a casa insieme al marito di Rosina che si era dimostrato ben presto inaffidabile, pigro, disonesto e infedele..
Per guadagnare un po' di denaro per sè, Rosina aveva pensato di allevare una decina di tacchini e di conigli. Quando li vendette, le sembrò di ssere ricca con quel denaro tutto suo e, per poteggerlo come un tesoro, lo nascose dentro l'armadio in camera sua in mezzo ai lenzuoli. A Natale decise di comprarsi un cappotto nuovo per sostituire quello logoro che portava da tanti anni, ma il denaro era scomparso. Il suo pianto non servì a nulla, solo i suoceri cercarono di consolarla. Conoscevano bene la disonestà del figlio.
Intanto si era formato un curioso ménage a tre, fratello-cognata-marito, che lasciarono il podere insieme per trasferirsi in città. Fu allora che anche Rosina, la sua mamma ( il babbo era già morto), i suoceri dovettero cercare una casa in affitto in paese e trovarono proprio la vecchia casa vicino alla mia. Lei si prese cura di tutti e tre con sollecitudine e devozione, poi, nel corso di qualche anno, scomparvero uno dopo l'altro lasciandola sola. Nel pomeriggio si sedeva all'ombra di un grande olmo e lavorava all'uncinetto. Spesso le facevo compagnia. Mi faceva tenerezza e questo rafforzava la mia amicizia per lei. Una volta le regalai una bambola, la prima della sua vita. La teneva seduta sul letto, ma credo che la notte la prendesse a dormire con lei. Un giorno la padrona della casa le comunicò che, volendo venderla, doveva andarsene. Le trovò un appartamentino di due stanze in un piccolissimo paese distante due chilometri. Andavo spesso a trovarla e mi occupavo di ciò che le serviva.
Un pomeriggio la trovai molto sofferente, in preda a forti dolorial torace. Chiamai urgentemente il dottore che le diagnosticò una colica ai reni. Dopo che ebbe preso i medicinali e gli antidolorifici prescritti, le promisi che sarei ritornata la mattina successiva, Così feci. Entrai in cucina e cominciai ad accendere il fuoco nella stufa. Intanto la chiamavo dolcemente, scherzando sul fatto che non si era ancora alzata. Aprii la porta della camera e nel buio della stanza le misi una mano sulla testa appoggiata sul cuscino.
Sentii un brivido scendermi lungo la schiena perchè mi resi conto che era morta. L'unica cosa che mi confortò un po' fu che non aveva acceso la luce e che i suoi lineamenti erano rilassati. Apparentemente non si era agitata e la morte l'aveva colta nel sonno. Così, timidamente e senza disturbare, come era solita, aveva lasciato la sua vita tormentata
Sulla terra era stata un angelo e in quella notte le era stato regalato un paio di ali.
C.C.
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Da Fiori di Banco
-Una volta per fare la carta usavano straccio e polvere che poi dopo con le invenzioni perché fossero più forti usavano la polvere da sparo.
-Gli Olandesi furono i primi che inventarono la stampa a modo fisso. I Tedeschi inventarono poi la moda mobile.
-Finalmente ci fu un tedesco che si chiamava Gutembergen di Magonza. Egli inventò la stampa mobile che consisteva in tante lettere. Quelle lettere le legava con un cordone poi cominciava a scrivere. Dopo levava il cordone e rimetteva tutto a posto
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La Madonna dell'Uva (2020)
Seduta sulla carrozzina, accostata a un tavolo, una signora ha davanti a sé una ceramica che rappresenta la Madonna col Bambino. Mi sono avvicinata, ho guardato la ceramica e sono subito stata conquistata dalla dolcezza dei visi, dall’atteggiamento, dall’insieme dei particolari, dai colori tenui ma brillanti. Un piccolo capolavoro. Ho così imparato che Anna faceva la ceramista e le sue mostre avevano riscosso tanto successo e le sue opere erano state molto apprezzate. Non le vendeva quasi mai perché voleva tenerle con sé, come se, privandosene, avrebbe perduto una parte della sua anima, del suo sentire. Aveva profuso in esse la sua creatività, il suo estro, ma vi aveva trasferito anche i suoi sentimenti. Ora i suoi piccoli capolavori sono nella sua casa vuota dove ha dovuto lasciarli ma, se chiude gli occhi, li vede, li passa in rassegna e si sofferma su ognuno di essi perché ognuno è legato a un momento, a una emozione, a una suggestione. Per fortuna i ricordi nemmeno le pareti della Casa di Riposo li fermano, attraversano i muri e la riportano a tempi felici quando le sue mani plasmavano la creta obbedendo all’immagine che lei ci vedeva già riflessa e poi li dipingeva. Aspettava con trepidazione che, a cottura ultimata, il suo lavoro uscisse dal forno senza screpolature o difetti di colore. Ogni volta si ripetevano gioia e soddisfazione per un’altra delle sue perfette creazioni.
C.C.
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Da Fiori di Banco
-Marco Polo, Nicolò e Matteo erano una numerosa famiglia.
-Dissero i frati a Gregorio:- Il Papa devi essere tu.- E lui accettò e fece mandare i suoi uomini a dirlo in quasi tutta l'Italia.
-Federico Barbarossa fece bruciare tutte le case di Milano e anche i grattacieli.
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Una frontiera problematica
-Andiamo a Dresda?- La domanda di mio marito Alex mi giunge totalmente inaspettata, ma la risposta è un entusiastico e immediato: Sì!. Andare a Dresda significa rivedere la mia cara amica Christa dopo almeno 16 anni, da quando la DDR ha chiuso i confini verso la Germania Federale. I preparativi sono presto fatti. Andiamo in campagna a raccogliere una cassetta di pesche, compriamo alcune riviste, delle pantacalze per Christa , delle musicassette per suo Marito e altri prodotti introvabili da loro..
Partiamo alle 4 del mattino del primo Agosto 1973. Buio pesto, strada deserta. Guardo le persiane chiuse delle case e penso: Beati loro! Non mi è mai piaciuto di alzarmi prima dell’alba. Quando il sole si affaccia all’orizzonte, rosso come se si vergognasse di essersi alzato dopo di noi, abbiamo già percorso molti chilometri di autostrada verso Bolzano. Guardo il paesaggio che corre insieme a noi e penso a Christa. Ci siamo conosciute durante un meeting del Movimento Federalista Europeo, insieme a tanti altri ragazzi e ragazze di vari stati. La nostra amicizia cominciò subito, nell’Europa Haus, che ospitava i meeting, in una cittadina nel Western Wald e passammo 10 giorni sempre vicine. L’ anno seguente io ci ritornai, ma lei non poté venire perché non le diedero il permesso di oltrepassare il confine. La nostra corrispondenza continuò a farci sentire vicine. Negli anni seguenti diventò pediatra, sposò un ingegnere polacco ed ebbe due bambine.
Oltrepassato Monaco, nonostante alcune soste, comincio ad accusare la stanchezza. Alex procede imperterrito, divora chilometri e chilometri. Brontola con i guidatori tedeschi che stanno sulla corsia più veloce anche se vanno più lenti di lui. Norimberga. Ci avviciniamo al confine in un saliscendi tra boschi e campi di luppolo. Sulla nostra carta ci sembra che il confine sia a Hof. Lasciamo l’autostrada e scendiamo tra i monti, raggiungiamo questo posto, è un paesino e non si trova affatto sul confine. Ritorniamo sull’autostrada. E’ impossibile spiegare perché, teste dure, ci siamo incaponiti a lasciarla di nuovo a una successiva indicazione per Hof. Fatto sta che, per un’altra strada, arriviamo per la seconda volta a HoF che è sempre al solito posto e non sul confine. Senza sua colpa, quel paese ci è diventato oltremodo antipatico. Dopo aver sciupato una cinquantina di chilometri in questo inutile girotondo, proseguiamo per l’autostrada a due corsie che ci porta direttamente in braccio ai VOPO che si parano davanti con tanto di mitra e sotto al cartello dell’UNSERE DDR.
Il posto di frontiera è brullo, desolato e deserto all’intorno. Sulla sinistra c’è un basso fabbricato a un piano con un ufficio, un bar e una saletta di attesa. Entrando passiamo su una polvere disinfettante, proprio come facevano le mucche prima di entrare nel recinto del mercato nella fiera del nostro paese. Ci chiedono dove andiamo: Ah, siamo turisti?- allora ci consegnano due moduli da compilare con generalità complete, luoghi che intendiamo visitare, a quale scopo, generalità complete delle persone che vogliamo incontrare. Alex consegna i moduli compilati e i nostri passaporti a un impiegato arcigno e occhialuto che si affaccia da uno sportello chiuso da un grosso vetro scorrevole e opaco. Passa del tempo. Silenzio, nessun segno di vita. Bussiamo delicatamente al vetro . Si affaccia l’omino stizzito e dice che ha altro da fare e chiamerà lui. Quando si affaccia di nuovo, Alex si fa vedere mostrando un sorriso accattivante. L’omino lo gela con un deciso NEIN! E gli chiude lo sportello sul naso. Mi prende la risarella e mio marito mi sgrida. Non è luogo in cui si può ridere, incute soggezione e rispetto.
Passa un’ora, ne passano due. L’impiegato si era affacciato ogni tanto, non per chiamare noi ma qualcun altro. E non si era mai lasciato intenerire dagli occhi tondi di Alex. Abbiamo visto arrivare e ripartire una decina di persone, non ci siamo rimasti che noi. C’erano due ragazzi italiani venuti per vedere I Giochi della Gioventù a Berlino. NEIN! perché gli alberghi sono pieni. Provano a dire che dormiranno fuori città. NEIN. Alla fine, delusi e amareggiati, hanno dovuto accettare un TRANSIT Visa e andare dritto a Berlino Ovest. C’era una famiglia francese diretta in Polonia. Avrebbero voluto campeggiare lì vicino per attendere il mattino seguente. NEIN! Sono stati costretti a raggiungere. L’omino stizzoso chiede dove andiamo( Ancora?). Andiamo presso degli amici. NEIN! Bisogna andare in un hotel. Quanti giorni vogliamo restare? Ci consultiamo: 5 giorni. Chiedo quanto costa una camera per una notte: 19.000 marchi. E’ un colpo. Allora resteremo solo due notti. Chiude il vetro, deve telefonare a Dresda per sentire se c’è una camera libera.
Aspettiamo. Riapre, sborsiamo i soldi per l’albergo e quelli delle telefonate. Dopo Dresda dove pensiamo di andare? A Berlino. NEIN!, perché coi Giochi della Gioventù è tutto esaurito. Spieghiamo che andremo nella mattina e ripartiremo la sera. NEIN! Dove si va, bisogna anche prendere alloggio. Niente alloggio, niente viaggio a Berlino. Allora andiamo a Lipsia. NEIN! C’è la fiera, stesso discorso. Conclusione, ci è concesso di visitare solo Dresda e la sua provincia. Chiedo di telefonare alla mia amica Christa. Che cosa le voglio dire? Lo potrò fare solo dopo aver adempiuto ad ogni formalità. Le ‘formalità’ risultano molto care perché dobbiamo pagare parecchio per l’assicurazione, quella italiana non è riconosciuta, e ancor più per il visto. L’omino ci conteggia i Marchi tedeschi pari ai Marchi della DDR, che sono quotati solamente un terzo. E’ lui che ci cambia i marchi e ci fa pagare anche i buoni benzina e l’autostrada. Lo perdoniamo perché non è colpa sua , ma dell’UNSERE DDR. E’ sera inoltrata, finalmente possiamo spostare la macchina presso la dogana. I doganieri non guardano dentro, uno di loro si accontenta di sfogliare le riviste con molta attenzione alle foto. Dall’Ufficio Postale telefono a Christa e le chiedo di vederla per qualche momento, devo raccontarle tutto. Ci aspetterà all’Hotel Lilienstein, quello che ci hanno assegnato verso le 23. Siamo a 200 km da Dresda e sono le 20 e 30.
’Wilcommen in der DDR’ si legge all’entrata dell’autostrada a due corsie. Leggeremo spesso ‘Unsere DDR’ e anche ‘Unsere DDR als Sozialisticher Staat der Arbeiter und der Bauern’. Sapevamo già che la ‘nostra DDR’ è lo stato Socialista degli Operai e dei Contadini. Forti di queste convinzioni, ma con le pive nel sacco per i soldi spesi nel primo giorno di viaggio, corriamo sull’autostrada buia, completamente deserta, avara di indicazioni Abbiamo bisogno di benzina, ci fermiamo al primo e unico Intertank e aspettiamo mezzora prima che qualcuno venga. Con noi aspetta una coppia giovane, lui toscano, lei polacca, che vanno in Polonia. Alla frontiera hanno dovuto dichiararsi in TRANSIT per non subire la nostra sorte. Spendiamo i buoni ma notiamo che la benzina costa meno di quanto ce l’ha fatta pagare l’omino della frontiera.
Una lepre attraversa velocissima la strada, seguita da un leprotto. Alex mantiene una media di 100 km all’ora. Finalmente Dresda. Ci stupiscono la scarsa illuminazione e le vie deserte. Il mio cuore accelera I battiti. Chiediamo indicazioni a qualche raro passante. Su un marciapiede è fermo un uomo. Mi affaccio dal finestrino e chiedo:-Bitte, Hotel Lilienstein?’ L’uomo grida:-‘Carla!’. E’ Roman, il marito di Christa che è lì ad aspettarci. Siamo davanti all’ Hotel, un fabbricato di 9 piani, e all’interno c’è Christa. Possiamo finalmente abbracciarci e commuoverci. Sono molto stanca, ma tanto felice.
C.C.
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Da FIori di Banco
-Biancaneve diede un morso alla mela e svenì.
-Cara Maestra, io la scuso per non aver saputo la lezione. Io per punirmi ho coppiato un pezzettino della reppubblica. Io la saluto con tanti affetti.
-Le feste Ferali si celebravano per i morti defunti.
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Il compito di Romano (2017)
Se qualcuno ci chiede che cos’è la pace, troviamo facilmente le parole per spiegargli il nostro concetto di pace. Se invece dovessimo trovare un esempio visibile, concreto per dimostrarglielo, ci troveremmo in difficoltà. Romano ha trovato un modo personale molto speciale per dimostrare concretamente la sua idea di pace.
Ero a una sagra di paese quando vidi avanzare tra la folla uno strano corteo. I primi erano due cani, seguiti da due oche, due caprette, due anatre e un asinello che tirava una piccola carrozza per i bambini che volevano salire. Appoggiato alla carrozza, portava un piccolo scaffale con un coniglio, due piccioni, un porcellino d’India liberi di muoversi. Gli animali a terra procedevano in ordine senza lasciarsi distrarre dalle due ali di spettatori che li ammiravano e commentavano.
Romano partecipa a tutte le sagre e le feste dei dintorni dove si raduna molta gente e, a richiesta, anche a matrimoni e altre cerimonie. Il suo abbigliamento varia adattandosi alle circostanze. Quel giorno indossava un saio simile a quello dei frati che percorrevano la campagna e visitavano ogni fattoria, sperando nella generosità dei contadini.
In un momento di tranquillità, in una via secondaria, ho parlato con lui. Mi ha raccontato che ha impiegato anni di pazienza e di passione per addestrare gli animali, circondato dai quali, vive serenamene in una fattoria nella valle parallela a quella dove abito. Racconta: “Cominciai con un cavallo e un cane. Attaccavo il cavallo al calesse, salivo a cassetta vestito con poncho e sombrero e un mangiadischi con musica western. Tenevo le briglie lente facendole passare di fianco al cane che sedeva impettito accanto a me a cassetta così sembrava che conducesse lui il cavallo suscitando sorpresa e ilarità”.
Una decina di anni fa portò a casa un asinello che, via via, accettò la compagnia degli altri animali. Glieli mettevo in groppa o accanto fino a costruire una piccola corte. Si mostrava contento del mio interessamento. Prima che lo lasciassi, mi regalò due grandi foto pubblicate nei giornali che parlavano di lui col titolo “Il personaggio”. Prima di lasciarci mi spiega: “La mia più grande soddisfazione è vedere il sorriso della gente che rimane colpita da questo gruppo così variegato e così unito. La mia speranza è che qualche bambino si ricordi che, pur se diversi, si può vivere in pace.”
Sagge parole. Mi auguro che le intenzioni di Romano portino buoni frutti.
C.C.
Purtroppo, non mi fu possibile fare una foto al corteo in cammino. in questa foto, Romano ha permesso il ‘rompete le righe’ e gli animali si muovono a loro piacimento, pronti però ad allinearsi di nuovo al suo comando
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Da Fiori di Banco
-Le radici e lefoglie servono contro le infiammazioni dei reni e si chiamano succhi gastronomici.
-La maggioranza del popolo fa nove leggi, mentre la minoranza deve star zitta e non deve neanche discutere.
-Masaniello fu ucciso da quelli stessi che l'avevano trionfato.
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Alla Sagra Medioevale (2018)
La festa si svolgeva specialmente alla Rocca e alla Torre dell'Orologio che si trovano in cima a due colli. Io ho rinunciato a salire e sono andata invece nella piazza del Municipio. Mi è piaciuto molto perché le bancarelle presenti mostravano cose insolite, come maschere di cuoio, armi medievali di legno fatte a mano, ghirlande di fiori per giovani donne, seta colorata con fantasie diverse e, soprattutto, molte rune di tanti tipi. C'era la possibilità di conoscere l'origine del proprio nome di famiglia, c'erano vari indovini che predicevano il futuro e restauravano amori infranti.
Sono sempre attratta dai personaggi strani che aggiungono colore alla festa. Vedine uno nelle foto. Tirava un carretto sul quale c'era un baule e all'interno di esso erano nascosti piccoli cofanetti . Naturalmente mi sono fermata a parlare con lui. Era molto allegro e spiritoso. Aprì un cofanetto piccolo che conteneva piccoli sassi dorati che sembravano pepite. Assicurava che erano pietre del Tempio di Salomone... A suo dire, lui era come i vecchi mercanti che venivano dal Medio Oriente e portavano reliquie. Naturalmente scherzammo e all fine comprai un piccolo cofanetto (carino, ma ovviamente niente di prezioso) e lui, chiamando la gente che passava, gridava :-Guardate, quella pia donna, porta a casa questo cofanetto che ledarà la felicità per tutto l'anno!-
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Eccomi al secondo personaggio della Sagra Medioevale. Era un vecchio dai lunghi capelli grigi che uscivano da una specie di cuffia e pendervano sulle spalle. Nel suo viso rugoso , brillavano due occhi sorridenti come la sua bocca. Gli piaceva parlare e scherzare. Non riesco a definie i suoi vestiti, forse somigliavano a quelli di un comune uomo medieevale. Stava accanto a una bncarella piena di ogetti di legno che aveva fatto lui stesso. Gli ho chiesto il suo nome, la risposta mi è arrivata del tutto inattesa: Robin Hood. Gli ho domandato se potevo fotografarlo, ha accettato volentier. Ha preso un arco dalla bancarella e si è messo in posa. Mi ha spiegato che non aveva preso anche una freccia peché, se avesse colpito una donna, l'avrebbe fatta innamorare.
Forse nella sua vecchiaia, ha dimenticato Marion e ha lasciato Sherwood per continuare le sue avventure...
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Da Fiori di Banco
-Per prevenire la tubercolosi per me ci sono diverse soluzioni, ma la più importante è questa: guarire prima che venga.
-Le mucche vaccinose non morivano mentre il vaiolo sì.
-Il topinambur può servire specialmente contro i dolori abetici. Il Topinambur, fratello del Girasole, ha i tuberi sdraiati e tuberosi. Spesso è selvaggio e può combattere il Ghiabeto.
C.C.
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FRAMMENTI
*La mia Micra esce dalla prigionia del garage e parte per Brisighella, lungo una strada dove il traffico domenicale è intenso. Lo lascio volentieri girando a destra verso i campi. La strada è bella, tranquilla, con macchine rare, in mezzo a campi verdi, sotto piccole nuvole leggere bianche come la neve in un cielo blu intenso. Che bel mondo. Alla “Quercia” il proprietario, ‘egittologo’, mi accoglie con calore e gentilezza. Siamo simpatici l’uno all’altra, ma non c'è tempo per la conversazione, ha molti clienti. Mi dice che ieri ha servito i pasti per 15 ore consecutive. Sperava di fare una pausa la sera, invece ha visto l'orologio arrivare a mezzanotte. Lui sa che anche oggi dovrà darsi da fare a lungo. Quando stamattina l'ho chiamato, gli ho detto: "Voglio vederti, hai un tavolo disponibile per due persone?" Penso che se ne sarebbe inventato uno se i tavoli fossero stati tutti prenotati ... Lasagne, tortellini con burro. parmigiano e salvia, focaccia e pizza fritta, tutti fatti a mano. Pasta sfoglia con fragole Caffè. Poi una passeggiata in giro per la fattoria per vedere le innovazioni che mi ha invitato a ispezionare. Ha aggiunto ampi spazi verdi con giochi, tavoli e sedie che invitano a soffermarsi, lettini imbottiti per un tranquillo relax. Bello, bravo Flavio. Cleopatra approverebbe. Forse anche la Sfinge e Tutankhamon!
Al ritorno, con le acacie in fiore che ci accompagnano lungo il bordo della strada, raggiungiamo l'incrocio e il folle traffico della strada principale e ci immergiamo nella ... civiltà urbana.
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* Non so davvero cosa scrivere. Forse è la pioggia di questi giorni che ha dissolto i miei pensieri. Sono preoccupata. Non ho idee nemmeno per il prossimo numero di The Thistle. Chi ha rubato la mia primavera? La vedo tra gli alberi, nei rigogliosi cespugli, nei fiori che sfidano la pioggia, nel verde lucido delle foglie ben lavate e sciacquate, ma vedo tutto questo attraverso lo schermo trasparente della pioggia. Così anche le ginestre in fiore e mi chiedo perché il loro giallo dorato e il loro profumo non rallegrino nessuno. Quando le mie gambe mi obbedivano meglio, mi avvicinavo a loro e raccoglievo alcuni rametti per continuare a casa a godermi il loro profumo. Ora devo guardarle da lontano. Sono un esempio di costanza perché sono fiorite nonostante la temperatura che sale e scende. Non temono queste scosse e perciò farò la stessa cosa. Il mio corpo resiste e io, con la mia immaginazione, mi arrampico su di loro e da lì guardo il mio villaggio con i tetti lustrati dallo strano tempo che continua il suo viaggio così diverso dal solito.
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* Stasera, la luna e io ci siamo guardate attraverso la finestra. Sembrava felice nel fulgore della sua piena rotondità. Sembrava divertita delle multiformi e innumerevoli ombre che la sua luce proiettava nel paesaggio. Si specchiava nel fiume e galleggiava come una grande moneta d'oro, increspandosi nella corrente. Il cielo era un velluto scuro, trapuntato di diamanti, che sfiorava l'orizzonte in lontananza. Tutto era molto calmo. Tutto era silenzioso, il traffico era inesistente, l'ultimo treno era già passato. Quando sono tornata a guardarla dopo alcune ore, non c'era più. Forse con la sua luce dorata, stava illuminando altri paesaggi e giocando con nuove ombre. Il cielo si era fatto più cupo e le stelle rilucevano più nitide e più evidenti. La magia della notte si era ripetuta e il mio sonno sembra più tranquillo e sereno.
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*Da più di mezz'ora il tuono brontola ma sembra lontano e non si avvicina. Temo che piova altrove e non qui. Non posso più sopportare questo caldo afoso. Mi sento come un pesce fuori dall'acqua, come un fiore appassito. Mi sembra che se piovesse mi sentirei meglio e riprenderei forza.
Il tuono si avvicina, le prime gocce cadono, il vento comincia a soffiare, le imposte sbattono. Sta piovendo, ma sgarbatamente. Spero che la pioggia pesante e il vento sgarbato non causino danni. Guardo le piante dalle finestre, sembrano impazzite, anime in pena. Le cateratte del cielo si sono aperte. Non c'è grandine per ora.
È passato poco tempo, troppo poco, e il tuono si sta allontanando di nuovo. Sarà sufficiente questo improvviso capriccio del cielo per darci ristoro? O il caldo sarà di nuovo opprimente domani? Ora sento solo un rombo lontano e il rumore strisciante delle gomme delle macchine che passano sulla strada bagnata. AHIME’!
C.C.
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Da Fiori di Banco
- Nei giorni della festa di Pasqua le donne di Gerusalemme avevano molto da fare e dicevano
ai loro bambini:-Levati dai capperi che mi dai fastidio!
-Gli Ebrei erano assendenti del figlio di Noè.
-Mosè chiese ancora quella grazia e Dio gliela dà e quando torna di sotto adoravano Gerusalemme.
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Gianì della Buca
A Fognano non è necessario dare un indirizzo per far capire a quale abitante della campagna ci riferiamo, è sufficiente dire il suo nome e quello del podere: Michele di Ca’ di Bacco, Pietrino della Fontanella, Giacomino della Valle…
Gianì della Casera era un uomo di bassa statura, un po’ primitivo, il viso cotto dal sole, raggrinzito come una mela appassita, la dentatura rada e un sorriso sulle labbra. Goffo nel camminare, le gambe un po’ arcuate e le braccia ciondolanti. Era avaro, ma furbo quando si trattava di fare il suo interesse, di trarre profitto da qualcosa. Una volta fece il gran gesto di vendermi per poco, disse lui, un sacchetto di fagioli borlotti secchi. Arrivata a casa, li stesi sulla tavola per pulirli da eventuali granelli di terra o altri residui. Mentre stavo scoprendo che tutti avevano un forellino tondo, una nuvola di animaletti volanti frullò sopra la mia testa invadendo la cucina. Erano stati “colonizzati “dal tonchio, perciò Immangiabili. Dovetti buttarli e dare la caccia ai tonchi svolazzanti, che avevo disturbato nell’abitazione che si erano conquistati. Gianì lo sapeva ma, da furbo mercante qual era, aveva chiuso i fagioli in un sacchetto perché non li vedessi e mi rifiutassi di comprarli.
La casa a mezza collina dove abitava con la moglie Adalgisa, aveva due piccole stanze a pianterreno e altrettante al piano superiore. Dalla cucina si saliva alla camera da letto per mezzo di una scala di pietra, con un parapetto formato solo da un’assicella di legno. È logico che scenderla, data la loro età avanzata, era diventato difficile e pericoloso, così si voltavano di schiena e scendevano all’indietro a quattro zampe. Non è certo per irriverenza se dico che in quel momento mi sembrava di essere nel film “Il Pianeta delle Scimmie”.
Adalgisa sempre con la testa coperta da un fazzoletto nero annodato sotto il mento, si occupava degli animali della sua piccola aia e della cucina. Seduta sul bordo in pietra sotto l’ampia cappa del camino cucinava sulle braci. Per questo aveva spesso il viso sporco di fuliggine. Non l’ho mai vista lavarsi le mani, l’igiene in quella casa sembrava essere una parola totalmente sconosciuta. A volte mi offriva un bicchier d’acqua, la l’aspetto poco invitante del vetro annebbiato da impronte, mi toglieva la sete.
Gianì si occupava delle viti, degli ulivi, degli alberi da frutto, dell’orto e …degli affari. Nonostante la sua apparente rozzezza, amava molto i fiori e le piccole piante da giardino. Mi conduceva a visitarlo in un avvallamento di fianco alla casa. Si vantava di possedere più di cento piante diverse, era orgoglioso di farmi percorrere le file lungo i sentieri e di indicarmi quelle fiorite o che stavano per fiorire, ma non mi ha mai regalato un fiore. Sarebbe stato uno in meno e questo non lo concepiva.
Quando Adalgisa fu ricoverata in ospedale, lo condussi a farle visita. Mi confessò poi che subito non l’aveva riconosciuta in quella signora con la vestaglia rosa, i capelli bianchi e pettinati e il viso chiaro e pulito. Gli era parsa molto bella.
Gianì rimase solo e padrone di sé stesso. Non si scoraggiò. Approfittò di quelli che, pieni di buona volontà, lo aiutavano per il bucato, per la pulizia o per altri lavoretti e per cuocergli il cibo. Anch’io andai da lui per un lungo periodo. Si faceva comprare dal macellaio un chilo di carne da brodo. Gliela cuocevo la dividevo in porzioni giornaliere che mettevo in frigorifero. Durante la settimana, si cuoceva la minestra nel brodo e mangiava il lesso. Non gli mancavano ortaggi, formaggio, frutta e mangiava bene e a sufficienza
Aveva uno stomaco molto resistente. Me ne persuasi quando mi assicurò che i numerosi funghi arancione che crescevano dietro la casa erano buoni e che lui li mangiava spesso. Ne raccolsi una piccola quantità e la sera li cucinai per cena. Dopo poche ore, ero già al pronto soccorso dove mio marito mi aveva portato d’urgenza Non erano commestibili, almeno per me!
Un giorno mi chiese di fare una verifica nelle due stanze superiori. Non sapevo bene che cosa dovessi fare o cercare, lo scoprii solo in seguito. Ne approfittai per mettere ordine nei cassetti e nell’armadio della sua camera. Poi passai nella stanza adiacente. Era senza mobilio, c‘erano solamente delle sportine di plastica chiuse con un nodo e ammassate contro una parete. Erano veramente tante. Cominciai ad aprirle una dopo l’altra. Contenevano indumenti, biancheria da lavare, giornali, lettere foto, ricevute, carta di vario genere. Le lettere erano in gran parte quelle che Gianì aveva scritto ad Adalgisa (Delcisa come scriveva) quando era militare. Mi chiedevo come avessero trovato la strada per Fognano e come il postino avesse potuto decifrare l’indirizzo che occupava tutta la busta con tante inesattezze. In una delle tante sportine trovai degli assegni al portatore da 100 mila lire ciascuno per un totale di un milione e cento mila lire. Corsi di sotto dove lui era in attesa e glieli posai sulla tavola uno alla volta. I suoi occhi cupidi si allargavano man mano che li sciorinavo. Allora capii che cosa sperava che trovassi nel riordinare: soldi nascosti e dimenticati da Adalgisa. Erano di parecchi anni prima, ma per fortuna la Banca glieli pagò ugualmente.
Ora anche Gianì non c’è più e la Buca, lasciata nell’abbandono, è stata colonizzata da rovi e sterpaglie. Nell’aia sono cresciute grandi acacie, il giardino è sepolto tra le erbacce, le viti e gli ulivi, non curati, non danno più frutto. Lo so perché qualcuno che ha la vigna lì vicino me l’ha detto. Io non sono andata e non andrò mai a vedere quello sfacelo. Preferisco ricordare Gianì nel campo e Adalgisa seduta accanto al fuoco.
C.C.
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Da Fiori di Banco
-San Martino vide un poveretto che aveva freddo e allora con la spada lo tagliò in due.
-San Benedetto fin da bambino studiava per diventare frate. Quando fu frate scappò e non tornò più. Era andato a fondare un nuovo monastero dove per preghiera si diceva: Ora et Labora.
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L'Osteria della Torre (2019)
Voglio scrivere di una via del mio Comune, perché è una via molto speciale, unica al mondo. Nel XIV secolo, quando era necessaria la difesa della città, era un percorso di pattuglia. Più tardi, fu coperta e incorporata nelle case. Il luogo divenne il quartiere dei birocciai che la attraversavano con i loro asini dopo che avevano tirato ogni giorno birocci carichi di gesso. La cava era situata sul fianco di una vicina collina. Per questo motivo fu chiamata Via degli Asini.
Davanti alle sue finestre a mezzaluna c'erano le stalle, le abitazioni erano al piano superiore. Al piano terra, sotto la strada, i birocci, gli strumenti e il fieno erano alloggiati in cameroni parzialmente scavati nella roccia. Nel corso del tempo, quei depositi sono diventati ristoranti, osterie, negozi. Una delle osterie più antiche si chiama Osteria della Torre. Le pareti emanano ancora sentori di atmosfere lontane, di serate piene di fumo, di odore di pancetta grigliata, grida di giocatori di carte e di morra. Gli uomini arrivavano la sera, dopo il lavoro, indossando sulle spalle un mantello di stoffa verde ("la capparella") e ne gettavano un lembo sopra la spalla sinistra per avvolgersi completamente. Ad ogni tavolo, sedevano quattro di loro circondati da spettatori e giocavano per un litro di vino. Alla fine dei giochi, i perdenti pagavano. Coloro che non avevano soldi, chiedevano all'oste di annotare il debito sul suo taccuino. L'oste segnava, ma, sotto alcuni nomi, l'elenco dei debiti si allungava. Durante il gioco, il tono delle voci aumentava: c'erano discussioni soprattutto quando il vino era finito e c'era stato più di un bis. Si levavano nuvole di fumo, mescolandosi con quelle della pancetta che sfrigolava sulla griglia nel camino. Ora nell'Antica Osteria c'è una macchina per il caffè, una vetrina con paste, dolciumi, bevande di ogni tipo e puoi pranzare. Non è un ristorante elegante, è sobrio e ha un muro di pietra a vista non intonacato. Sul soffitto, chiusa da un asse, è ancora presente la botola da cui il birocciaio gettava fieno o altro nel camerone sottostante. C'è un tavolo da biliardo e c'è ancora un gruppo di pensionati che vanno a giocare a carte nel pomeriggio e non per un litro di vino, ma per un caffè o per un pacchetto di biscotti. La specialità dei due proprietari, Rita e Gerardo, sono le bruschette. La scelta è tra venti, distinte l'una dall'altra per gli ingredienti e il nome, spesso curioso: Sior Padron, Tre Colli, Romantica. Ci si sente bene lì. I gestori sono amichevoli e affettuosi. Le bruschette sono spesse fette di pane (lunghe almeno 20 centimetri) leggermente tostate, sulle quali Gerardo mette molti ingredienti. Ad esempio, sulla Sior Padron ci sono radicchio rosso, prosciutto, formaggio, carciofini sott'olio. Il dessert è un dolce rustico con sopra la marmellata. Tutto proviene dal loro podere, Rita prepara marmellate, con la frutta raccolta, e conserve. Gerardo pensa ai salumi, agli ortaggi, al vino, ai fiori. Mi piace andarci, perché mi piacciono i proprietari e mi piace la tranquillità, mi piace l'ambiente che, dietro l'aspetto moderno, ma non troppo, mi riporta a tempi lontani, molto lontani.
C.C.
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Da Fiori di Banco
-Quando Gesù è nato ci ha creato il mondo e le città e poi ci ha creato noi e le persone.
-La lotta per le investiture fu fatta così. Il Papa a Enrico IV glielo mandò a dire un mucchio di volte che smettesse di fare i vescovi che li voleva fare lui, ma Enrico IV faceva conto di niente e continuava a fare i vescovi allora il Papa si stufò e lo fece stare tre giorni con i piedi in mezzo alla neve.
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L' ENIGMA
C' era una macchia di colore su un ramo: il rosa stinto di una stella filante rimasta aggrovigliata lassù.
L'ultimo giorno di Carnevale aveva tagliato l'aria con la sua lunga coda rosso fiamma lanciata dalla mano di un bambino. Era atterrata sull'albero, si era raccolta a spirale come una bisciolina e lì aveva aspettato l' arrivo della Quaresima. Non l'aveva mai vista, ma sapeva che il bambino non gradiva il suo arrivo. L'aveva udito sospirare perché, la sera stessa, avrebbe dovuto riporre il suo bel costume da Zorro e lanciare gli ultimi coriandoli. La stella filante si era incuriosita: doveva essere un personaggio burbero questa Quaresima se non amava l'allegria. Era decisa a vederla, perciò era volata in alto e si era aggrappata a un ramo dove avrebbe pazientemente atteso. Voleva far colpo su di Lei quando sarebbe arrivata vestita ( così gliel'aveva descritta qualcuno) di un austero saio, grigio come la cenere. A mezzanotte e un minuto infatti arrivò, la testa bassa, il viso semi-nascosto da un cappuccio, disadorna, col passo strascicato. La stella filante si spenzolò più che potè per mostrare il suo bel colore rosso vivo, per spiegarle com'era stato allegro e divertente il Carnevale con le sue sfilate, i suoi balli, le maschere e tanti dolci tradizionali. Ma,all'improvviso, la vide togliersi il saio e, alla luce dei lampioni, luccicarono i lustrini di un abito da sera. Per la sorpresa la stella filante impallidì di colpo. Rimase muta e infreddolita a guardare quella figura che si allontanava a passo di danza seguita da un saltellare di coriandoli che un leggero vento le soffiava dietro.
C.C.
Commento di un amico.
In una società come la nostra dove si fa sempre più sottile il confine tra il lecito e lillecito, tra il rispetto della regola e il vantaggio personale, si è assottigliato anche il confine tra Carnevale e Quaresima. Tanto assottigliato che... non si vede quasi più.
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Dalla Scuola Elemenare
-Quando c'è un lavoro da fare dico alla mamma:-Chiedilo a mia sorella! Il fatto è che sono figlia unica.
Era il La camera di commercio di Ravenna bandì un concorso tra i ristoranti per una ricetta.
Anna Bartoli e io pensammo di partecipare ,perché stavamo facendo coi bambini delle nostre due classi parallele, una ricerca sulle erbe spontanee.
Siccome c'erano anche ricette con le erbe, raccolte dai bambini dalla voce dei nonni o dei genitori, pensammo di mandargliele. La raccolta di articoli, disegni all'acquerello e frasi poetiche , tutti riguardanti le erbe, accompagnati da una lettera di presentazione, ebbero un grande successo. Ci fu detto che il Presidente si era portato il fascicolo in vacanza e lo sfogliava sotto l'ombrellone. Le due classi vinsero un premio in ceramica che furono invitate a ritirare partecipando alla cerìmonia di premiazione a Ravenna. Tutte le ricette furono poi pubblicate nel libro "Alla scoperta dei piatti della nonna".
Lettera al Presidente della Camera di Commercio di Ravenna
Gentilissimo Presidente,
le ricette raccolte dai nostri scolari di seconda elementare non sono frutto di un lavoro occasionale, ma vengono a concludere attività di indagine svolte nell'arco di questo anno scolastico nell'ambiente naturale e familiare. La curiosità gastronomica è uno dei aspetti del tipo di lavoro svolto, poiché abbiamo "adottato" per lo studio d'ambiente il Parco della Rimembranza col suo parato. Dalla conoscenza della varietà di erbe che lo ricoprono alla ricerca dei loro impieghi...culinari, il passo è stato breve. Qualche visita ai fiori spontanei nella collina adiacente la Scuola ci ha procurato ulteriori occasioni di conoscenza. I bambini si sono poi trasformati in investigatori e hanno costretto gli anziani della zona a rispolverare ricordi di tempi meno "grassi" ma più sereni. Le nostre ricette sono tutte a base di erbe spontanee, delle quali la gente dei piccoli poderi di collina e di montagna, si serviva per sfamare famiglie spesso numerose soprattutto a primavera quando, esaurite le scorte invernali, non potevano ancora raccogliere i magri prodotti dei loro campicelli
C' era una volta (proprio come nelle favole) un legame stretto tra l'uomo e la campagna. Questa offriva e l'altro attingeva a piene mani. Tutto ciò che la natura spontaneamente dava era considerato grazia di Dio e aiutava a mettere sulla tavola imbandita un piatto che sapeva di campo e aria buona. Lo spuntare delle erbe tenere e d elicate, ritmava il tempo e stabiliva il menù del momento. Ecco a marzo, per San Giuseppe le foglie della salvia dei prati trasformarsi in frittelle saporite, poi veniva il turno delle giovani foglie della Borragine, e poi dei germogli di Vitalba, delle cicerchie, dei Fiori di Biancospino, dei primi Rosolacci, degli strigoli. A Pasqua era pronta la Menta a dar sapore alla frittata e, verso l'Ascebsione, uscivo dal forno una croccante e profumata pizza coi fiori di Sambuco. La gente, anche quella del paese, le conosceva le erbe e le sapeva gustare in tanti modi diversi. Ora non più. Chi ha tempo di abbassare lo sguardo per riconoscerle ad una ad una? un campo è coperto di erba e basta. La merenda a base di pane abbrustolito condito con olio, sale, qualche foglia di rucola e...appetito, è molto lontano. Ora c'è la sacra pastina e un bambino non si sognerebbe mai di piluccare i teneri germogli della siepe di biancospino come facevano i nonni bambini mentre la capra pascolava nel greppo o di strappare ciuffetti di Erba Luisa per gustarne il sapore un po' salato e asprigno.
C'è stacco enorme tra noi adulti e i ragazzi: non gli insegniamo più i segreti delle erbe e non è colpa loro se le calpestano senza vederle...
Carla Ciani e Anna Bartoli
da completare
Una Caterina che da sola vale per due
Scritto dopo il ventiseiesimo incontro annuale delle ex allieve esterne del Convento*nella seconda domenica di ottobre del 2006.
pubblicato su Fiaccola Domenicana (nov.2006)
Sono tre le Caterine tra le ex allieve esterne del Collegio Emiliani presenti, ma avrebbero potuto essere sei. Abbondanza di Caterine a Fognano. Tra loro poi ce n'è una che vale per due, tanto è lo spazio che occupa. Dove è presente lei, immancabilmente si ride perché quando apre la bocca, e lo fa spesso, ne esce un lazzo o una battuta o una barzelletta. Occhi neri e vivaci, espressione tra il furbesco e lo sbarazzino, oggi mi ha fatto subito bersaglio dei suoi scherzosi vituperi perché ho confessato di non averla trovata nell'elenco telefonico. Non credevo di averle fatto un torto così grande. Avevo solo sbagliato cognome, ma mi ha voluto far credere che per lei è stato come se l'avessi bandita dal consorzio umano, come se le avessi tolto il diritto di possedere un telefono, "Non trovare proprio lei che considera il telefono la sua vita e che ci sta attaccata tutto il giorno?". Mea culpa, Caterina Savorani conosciuta come Caterina dla Tar, della Torre, prendo atto che sei regolarmente iscritta nell' elenco telefonico tra gli abbonati del Comune di Brisighella. Dopo la ramanzina, fatta con viso serio e fintamente arrabbiato, ricevo il suo perdono.
Ridanciana com'è non fu capace di stare seria nemmeno quando, svegliatasi da un coma durato parecchi giorni, ricevette la visita dell'Arciprete Zannoni e di don Gualtiero. L'Arciprete, per dare risalto al suo recupero, osò dirle che i compaesani l'avevano già data per spacciata e aggiunse:" Che cosa devo dire quando mi chiederanno di te?" " Che vadano a quel paese" (espressione purgata da me) fu la pronta risposta che imbarazzò l'Arciprete e fece arrossire il timido e riservato don Gualtiero.
Per le suore questa sua inclinazione a provocare il riso è stata spesso causa di grattacapi. Neppure dentro la Cappella Sistina, durante la gita a Roma con suor Pier Damiana e le compagne nell'anno santo, riuscì a contenere la voglia di ridere e di far ridere. Il fatto è che distraeva le altre facendo commenti per cui si sentivano risatine mal trattenute. Nel pomeriggio avrebbero dovuto presenziare a uno spettacolo di burattini a Villa Borghese, ma suor Pier Damiana, la cui pazienza era stata messa a dura prova, disse seccamente: " Li avete già fatti voi i burattini ." Perciò niente Villa Borghese e niente spettacolo di burattini!"
Un'altra volta le capitò in chiesa durante la benedizione. La suora, esacerbata dal suo chiacchierare sommesso e dalle risatine soffocate che si ripetevano, la prese per un orecchio e la fece inginocchiare tra le due file di banchi. Perfino il sacerdote, voltatosi per alzare l'ostensorio, scosse la testa in segno di disapprovazione.. Al termine della cerimonia fu condotta davanti alla Madre Superiora che avrebbe voluto sentire da lei buoni propositi per il futuro: " Mi prometti che non lo farai più?" E l'incoreggibile Caterina: " Glielo prometto...purché non mi scappi di ridere".
La sua vita è costellata di aneddoti perché Caterina è una miniera di gag, battute e ottimismo. Non sa trattenersi, e fatta così, senza freni, ed è sempre circondata da chi la conosce e vuole ascoltarla per ridere alle sue uscite sghembe. Penso che questa sua caratteristica l'aiuti a mantenersi giovane di spirito nonostante il passare degli anni. Chi non vorrebbe assomigliarle...almeno un po' ?
C. C.
* Le ex allieve esterne erano le ragazze che ci avevano studiato, o lavorato o imparato a ricamare o partecipato al ricreatorio domenicale ecc.
C'era un ritrovo annuale anche delle allieve interne nella prima domenica di ottobre. Ritornavano al Convento dove avevano trascorso anni di studio. Venivano da Comacchio, Codigoro e da altre località della bassa Romagna e da tanti paesi della nostra vallata.
Da La foire aux cancres
-Ho una bella camera da affittare, che converrebbe a uno scapolo di tre metri per cinque.
-Vorrei che mio figlio cambi di posto perché il suo compagno di banco gli dice sempre della insolazioni.
-Mia figlia ha una lussuria alla spalla.
Agosto 2016- Tempo di stelle cadenti
L'altra sera, guardando il cielo diventato nero, notai una minuscola stella. Mi fissai solo su quella e cominciò a muoversi. Pensai che fosse un aeroplano sperduto nel cielo. Ma non poteva essere, non era possibile perché era troppo piccola, un puntino luminoso. Presi come riferimento la cima di due alberi vicini: la lucina era sempre lì, non si muoveva per niente Era proprio una stella ed erano i mei occhi che ne vedevano il movimento. Poesia? No, glaucoma!
Il giorno seguente ho guardato il cielo sperando che una stella cadente portasse con sè un mio desiderio. Erano le 21 e 30, troppo presto e le luci della strada mi impedivano di vedere le stelle. Tuttavia la mia stellina era là, brillava e faceva il suo show solo per i miei occhi. Quando ho acceso l'abat-jour vicino al letto, una coccinella ha aperto le ali e ha cominciato a volare frenetica fra la lampada e il mio cuscino.Le coccinelle mi piacciono e mi piace guardarle mentre esplorano le erbe e i fiori, ma non mi fa piacere averne intorno una impazzita dalla paua. Ho cercato invano di prenderla per darle la libertà. Ho spento la luce sperando che si mettesse tranquilla e si addormentasse. Non so se le coccinelle dormono, penso di sì. Dopo aver portato fortuna a qualcuno durante il giorno, si prendono un meritato riposo. Mi sono sdraiata sul letto, ma dopo un attimo l'ho sentita atterrare sulla mia guancia sinistra.
Una piccola stella mobile e una coccinella nella mia sera, chi più fortunata di me?
C.C.
Da La foire aux cancres
-Per rendere potabile l' acqua la si lava.Si può anche farla bollire e poi sbatterla con una forchetta, per togliere la polvere e far saltare fuori la rane e gli altri microbi.
-Un altro modo per rendere potabile l'acqua è metterci dentro del vino rosso.
-Gli effetti dell'alcolismo sull'apparato circolatorio sono gravissimi: a causa dell'alcol ci sono molti incidenti stradali che interrompono la circolazione.
Anna Bartoli è stata l'insegnante della classe parallela alla mia per cinque anni nei quali collaborazione, accordo e amicizia permeavano l'atmosfera di ogni giorno.
A conclusione del nostro lavoro, scrissi queste scemenze per ridere insieme.
Titolo: Le Lupe capitolarono
Storia riveduta e corretta de "La lupa capitolina"
Autrice: bilingue
Lingua: Latino maccheronico con pasticcio di Italiano al gratin
Una volta nel Fundus Faunnianus, a Fognano, vagavano libere e felici due mansuete lupe che rispondevano
al nome di Anna Carolis e Carla Cianis. Die septembris, un giorno di settembre, del lontano anno domini1978, mentre le loro narici aspiravano l'effluvium, l'odore, invitante dei grappoli dorati, si trovarono attorniate da una cucciolata puerorum, di bambini clamantes, vocianti. Vinte dal loro istinto materno, capitolaverunt et habuerunt curam eorum, se ne presero cura, circondandoli di attentionibus. Ogni mattina li aspettavano nella scuola-bus, ma i puerini, i bambini, e le puelline, le bambine, cominciarono ad occupare troppo le loro menti e ad abusare della loro patientia. Sicché un dies irae, un brutto giorno, decisero di abbandonarli in un corbellus,un grosso cesto, sulle acque del flumen Lamone. Sperabant, speravano, che deus aquarum, il dio delle acque,le avrebbe liberate di loro spingendo il corbellus verso lontani lidi. Ahimé, illo die, quel giorno, il dio era in ferie et flumen non facebat undas, e il fiume non faceva onde, non currebat per niente, non aveva un filo di corrente. Il corbellus si fermò subito presso un sassus, un masso. I puerini e le puelline, gementes et flentes, strillanti e piangenti, si agitarono tanto che il corbellus li vomitò nell'acqua e il flumen se ne liberò spingendoli a riva. Fu così che Elvius il bidellus, che Elvio il bidello, vestito di una corta tunica bianca che lasciava scoperte le sue rubra genua, le sue rosse ginocchia, li scorse, horribile visu, con orrore, rientrare gocciolanti nella scuola. Siccome aveva appena lucidato l'atrium, l'atrio, li rimproverò malis verbis, con improperi vari, li rincorse con la scopa e a qualcuno lasciò l'impronta pedis dexteri, del piede destro, sul posterior, sul fondo schiena. Anna Carolis e Carla Cianis flecterunt capita, piegarono la testa, sospirando con rassegnazione et supportaverunt per quinque annus, per cinque anni, quei derelitti che neppure il fiume aveva voluto.
C.C.
Da La Foire Aux Cancres
-Il Papa entrò nella cattedrale inseguito dagli Svizzeri.
-Il poveretto era in coma, cioè nella tomba.
-Per imparare le lezioni non bisogna guardare con un occhio il libro e con l'altro fuori della finestra.