INDICE dei racconti -
Due animali speciali (Vinicio e Cocô) / Dedicato a Mimma/ Bengi:uno spirito battagliero / Luigino detto Gino/ Dino: La piccola peste/ Scrivo di nuovo di Mimma
Due animali speciali
E’ sabato: Il mio barometro dà i numeri, mi sembra che non ci prenda. Secondo me faccio previsioni migliori guardando fuori della finestra e osservando il cielo. Così coi segnali del tempo atmosferico sono messa male. Non va meglio coi segnali del tempo orario. Questa mattina ho sentito un gallo cantare a più riprese. Sarebbe normale se non fossero state le dieci del mattino e io non fossi stata sulla terrazza a stendere i panni. O durante la notte aveva fatto baldoria e si era addormentato al momento di dare la sveglia, oppure erano grida di dolore? Forse la padrona aveva ucciso la sua gallina preferita per il brodo della domenica. Anche i galli possono soffrire e quello poteva essere il grido di un amore disperato. Gli rispondeva- si fa per dire-la gallina del mio vicino che annunciava di aver deposto un uovo. Stava spargendo la felice, appagante, soddisfacente notizia perché voleva che tutti sapessero.
Tutto questo mi ha riportato alla mente COCÔ, un gallo nato deforme, che mio padre lasciava libero nel cortile. Aveva la colonna vertebrale verticale, un largo petto piatto e le penne della coda consumate dallo strascicare sul terreno. La voce non gli mancava e, al sorgere di ogni alba, tentava di fissarsi bene sulle zampe, arcuando il collo per quanto poteva, cioè molto poco, e lanciava il suo rauco chicchirichì. Il suo entusiasmo era grande e non gli mancava il desiderio di fare del suo meglio, ma ciò che non funzionava era l’equilibrio e cadeva all’indietro: a ogni chicchirichì, un tonfo. Mio padre gli aveva insegnato a cantare a comando e Cocô, pieno di buona volontà, obbediva.
Nel frattempo Vinicio stava affacciato alla finestrina del suo stalletto. Simpatico, roseo, curioso. Era un maiale che mio padre voleva ingrassare. Era carino con quella testona che guardava il cortile e ciò che vi accadeva. Il suo destino non era dei più felici, sapevamo già come sarebbe andata. Eppure la fine di Vinicio (strano nome datogli da mio padre) fu ancora più tragica, improvvisa e prematura. Pagò molto cara la sua abitudine di sporgersi. Un giorno, forse voleva sporgersi al massimo aggrappandosi per quanto poteva, e cadde dalla finestrina finendo a testa in giù dentro una botte di calce che mio padre aveva preparato per conservare le uova in inverno.
Cocô e Vinicio sono animali rimasti vivi nella mia memoria e, quando li ricordo, lo faccio con grande tenerezza.
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
Da La Foire aux Cancres
-Il mio toro è ammalato, ma farò personalmente di tutto per sostituirlo, finchè sarà guarito.
-(Lettera di un guardiano dello zoo al suo Direttore che è in ferie)Lo scimpanzé ci dà molte preoccupazioni: non mangia e sembra annoiarsi terribilmente.Secondo ogni apparenza, gli manca un compagno della sua specie. Aspettndo il vostro ritorno,che cosa dobbiamo fare?
- Sono stata dolorosamente colpita dalla morte del vostro barboncino. Anch'io, venticinque anni fa, ho perso un barboncino delzioso. Ho provato tanto dolore che mi sono sposata.
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Dedicato a Mimma
Molti grandi artisti hanno avuto vari periodi di ispirazione nella loro arte, nella scelta dei soggetti, nel loro modo di dipingere, vedi per esempio Picasso. Mimma non è stata da meno. A suo modo creativa, amante del cambiamento, del trasformare, ha attraversato vari periodi passando da quello di roditore, di giardiniere, di sadica, di esploratrice, di Arsenio Lupin.
Cominciò il suo periodo di roditore attaccando tutti i piedi e le gambe dei mobili di legno senza dimenticare il portariviste e l’attaccapanni. Non disdegnò di masticare altri materiali come il mio portafoglio e la chiavetta del computer.
Si diede al giardinaggio scavando profonde buche sotto la siepe fino a scoprire le radici e a rannicchiarvisi dentro. Aveva un senso del verde diverso dal mio: toglieva le piante dai vasi e, dopo che io le avevo rimesse a posto, le toglieva di nuovo.
Quando camminavo in cortile, mi seguiva mordendomi i polpacci. Per lei era un gioco, ma io lo trovavo sadico perché i suoi dentini aguzzi lasciavano il segno.
Durante la sua prima estate tenevo le porte interne aperte per far circolare l’aria e mitigare il caldo. Appena poteva, saliva la scala e andava ad esplorare le stanze al piano superiore. Non c’era gommapiuma che si salvasse. Trovavo pezzi dappertutto. Svuotava i peluche lasciando sul pavimento gli involucri afflosciati. Fui costretta a mettere tutto in alto, fuori portata della sua furia distruttrice.
Una sera mi accingevo a mangiare uno dei miei piatti preferiti, le polpette col sugo, che avevo preparato con cura. Mi ero appena seduta a tavola quando qualcuno suonò il campanello. Un ragazzo era venuto a ritirare dei dischi che avevo già preparato per lui e glieli consegnai. Ritornai a sedermi. Il piatto era lucido, pulito come dopo il lavaggio. Mi venne il dubbio di non averci messo ancora le polpette, ma non era così. Arsenio Lupin a quattro zampe, ostentando un’aria indifferente, stava sdraiato e satollo sul suo cuscino. La mia delusione fu grande e dovetti rassegnarmi a cenare con pane e formaggio.
Non mancarono altre imprese del genere, anche se il cibo era posato accanto ai fornelli. Aveva cominciato a crescere e, quando si alzava in piedi, arrivava dappertutto. Altra delusione perché avrei voluto un cane di mezza taglia non una stangona…
Mio figlio l’aveva presa da un contadino che, per liberarsene, gli aveva detto che sarebbe rimasta piccola. Aveva due mesi e mezzo, era graziosa col suo pelo rasato lucido nero e bianco e le macchioline marrone sopra gli occhi.
Nel suo primo anno di vita fu la mia disperazione, un vero diavolo. Pensavo a come avrei potuto convivere con quella peste. Forse l’angelo custode dei cani entrò in azione perché Mimma cominciò a calmarsi e a migliorare sempre di più. Divenne la mia compagna preferita, mi seguiva in ogni cosa che facevo, capiva dove mi accingevo ad andare. “Andiamo a chiudere le persiane”, “andiamo a vedere se c’è della posta” “andiamo a stendere i panni” “andiamo a guardare il fiume”. A ogni frase lei mi precedeva prendendo la giusta direzione. Ero sola in casa, ma Mimma colmava la mia solitudine. Era una presenza che riempiva ogni vuoto. Abbiamo vissuto insieme per 13 anni, giorno e notte. Il suo sguardo dolce mi diceva quanto era profondo il suo affetto per me. Quando, dopo un’ecografia, seppi che aveva un tumore all’intestino di 20 centimetri di diametro, capii che era giunta alla fine della sua esistenza. Da quel momento ho cominciato a vivere in un limbo di sofferenza e di estrema tenerezza per lei che mi ricambiava col suo sguardo tenero e qualche leccatina. Pregavo Dio che la facesse morire nel sonno: ” Dio, Mimma mi ha dato tutto di sé, conforto, sicurezza, affetto, vicinanza, condivisione. È stata buona oltre ogni dire, premiala per tutto questo, Signore, falla addormentare per non svegliarsi più. Ti prego, se lo è meritato.”
Il primo giorno di agosto 2016 il veterinario ha usato la mano di Dio e Mimma si è pian piano addormentata in pace, finalmente libera dal suo male e il suo cuore generoso ha cessato di battere. Ora ha ritrovato forza e vigore e corre felice nei prati del cielo.
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Da La Foire aux Cancres
-Egregio Sindaco,le chiedo con la presente l'autorizzazione che mi autorizzi a costruire un pollaio per allevare galline con mattoni e filo spinato lungo la strada comunale. L'autorizzazione che mi autorizza non mi impedirà di demolire il signor Sindaco, appena me lo chiederà.
-(Istruzioni Militari sulla guerra nella giungla.) Contro un toro, un bufalo o un elefante, il metodo migliore è quello dei toreri: schivata di lato rapidissima, fino al momento in cui si può salire su una roccia o su un albero. Contro una tigre o un leone, bisogna cercare di introdurre un coltello aperto nella gola della belva, o afferrarle la lingua. In questi casi la belva non insiste
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Messaggio dal sito
Cara Carla
ho letto il racconto di Mimma e mi sono venute le lacrime agli occhi; non perché fosse particolarmente penoso anzi l'inizio della storia mi ha strappato parecchi sorrisi. Quando però sono arrivata alla fine mi sono commossa perché io sto vivendo la tua stessa paura. La Pinti e Rudy, - entrambi 14 anni- stanno camminando per la strada che porta alla fine di questa vita terrena ed anche io, proprio come te, prego Dio che quel momento venga nel sonno perché ho già visto un essere umano morire a poco a poco e quell'esperienza ha cambiato la visione che ho della vita. Sono passati ormai più di 40 anni ma ancora la ferita è aperta: accetto la morte ma non la sofferenza. Per fortuna gli animali possono essere accompagnati con dolcezza a quel comune traguardo.
La vita di Mimma è stata buona come lo è quella dei miei animali. La visione di una foto di te che la porti in collina mi è piaciuta un sacco. Mi sono immaginata un pomeriggio d'estate, caldo e luminoso, una leggera brezza nell'aria; ho sentito il rumore dei tuoi passi lenti e rilassati ed ho visto Mimma annusare la terra e scodinzolare felice.
Bel racconto davvero.
Un abbraccio.
Laura
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Bengi-Uno spirito battagliero
Bengi dimostrò fin dall’inizio di essere un cane di carattere, ostinato, indipendente, che sapeva prendere le sue decisioni. Era di media taglia, di pelo riccio e biancastro. Occhi vispi e lucenti.
Una mattina il babbo, che era andato al mercato a Faenza col suo furgone FIAT, se lo trovò sdraiato nel cassone. Lo fece scendere, salì e mise in moto per partire, ma quel cane sconosciuto spiccò un salto e si installò di nuovo nel cassone. Dopo alcuni vani tentativi di farlo allontanare, vista la sua pertinacia, mio padre cedette e lo portò a casa con sé. Non sapevamo da dove venisse, ma aveva l’aria di un cane che non aveva fatto un bagno da parecchio tempo. Entrò in casa nostra con disinvoltura, come se ci avesse abitato da sempre. Non so perché mio padre gli avesse dato quel nome insolito, ma il cane capì immediatamente che quello era il suo nome e accorreva subito al richiamo, come al fischio che gli era stato dedicato. Mostrava affetto verso tutta la famiglia, ma si capì subito che la sua preferenza era per mio padre. Divenne la sua ombra e ‘comproprietario’ del furgone. Stava in equilibrio perfetto sopra il tetto della cabina ed era esperto nell’affrontare le curve tenendosi saldo sulle zampe e piegando il corpo nel senso della curva per non essere spazzato via dalla forza centrifuga. Diventò popolare nei mercati dove tutti lo conoscevano e avevano imparato che, anche solo sfiorare il furgone, era proibito perché provocava la sua stizzosa protesta. Non scendeva, ma faceva capire all’importuno che solo il suo padrone di elezione poteva dirgli a chi era permesso avvicinarsi.
Il tempo passò, Bengi era amato, ben nutrito e…motorizzato. Si capiva che era felice, passavano nei suoi occhi scintille luminose quando qualcuno di noi lo coccolava. Un giorno la mamma disse di essere molto stupita che le sue amate galline avessero smesso di fare le uova che ogni mattina non mancavano di deporre. Pensammo a grossi topi o a una donnola. Predisponemmo degli appostamenti per sorprendere il colpevole e risolvere il mistero. Purtroppo, ci accorgemmo che era Bengi che faceva delle puntate nel pollaio e se le mangiava. Fu una delusione e un sacrilegio perché mio padre faceva il pollivendolo e, nella sua mentalità, le uova erano destinate alla vendita e agli uomini, non ai cani. Decise con grande rammarico di allontanarlo affidandolo a un contadino che abitava abbastanza lontano sulle colline.
Erano trascorsi tre mesi quando, improvvisamente, il cane ritornò dimagrito e col collo spelacchiato. Lo accogliemmo con gioia e compassione. Mio padre, accarezzandolo, gli diceva: -Povero Bengi, ti hanno messo alla catena e, appena ti hanno slegato, sei ritornato dal tuo amico. –
Purtroppo, però, non aveva perso il vizio di visitare il pollaio e le cose si aggravarono quando sapemmo che visitava anche i pollai dei dintorni. A quel tempo, i cani che trasgredivano in questo modo, venivano uccisi, ma mio padre non l’avrebbe mai fatto. Prese di nuovo la dolorosa decisione di portarlo in una fattoria, in un’altra vallata, e si raccomandò al contadino che avesse cura di lui.
Passò la primavera, finì l’estate, nessuno di noi parlava più di Bengi perché la sua mancanza si sentiva e ci rattristava.
In una fredda sera eravamo a tavola, la pioggia rigava i vetri della finestra della cucina e pareva che piangessero. Improvvisamente sentimmo grattare sulla porta. Corsi ad aprire. Bengi era lì, col pelo zuppo, magrissimo, stanco e invecchiato. Solo i suoi occhi sembravano illuminati e fieri della sua impresa. Emanava un forte e sgradevole odore di pelo bagnato, ma mio padre non se ne curò, lo abbracciò e gli promise che, uova o non uova, non sarebbe stato mai più allontanato dalla nostra famiglia. Lo asciugammo, lo scaldammo, lo rifocillammo, lo coccolammo con la commozione che ci riempiva gli occhi di lacrime e il cuore di gioia.
Bengi si riprese, ma non del tutto, passava molto tempo sdraiato sul suo cuscino. Aveva perduto la sua determinazione, il suo spirito battagliero di cane libero. Faceva brevi passeggiate e mostrava la sua gratitudine a mio padre ogni volta che lo portava con sé, seduto nel sedile accanto a lui, nella cabina del furgone.
Stava arrivando la primavera. Una mattina, entrando in cucina, vedemmo che il suo cuscino era vuoto. Lo cercammo intorno a casa. Capitò proprio al babbo di trovarlo esanime in un vicino fossato. Bengi se ne era andato in silenzio per non disturbare, nell’ultimo suo tentativo di dimostrarci quanto ci amava.
* * *
Immagino che sia Bengi a rivolgersi a mio padre:
“Ho spiegato a San Pietro che preferivo fermarmi fuori della porta. Non darò nessun disturbo, non abbaierò neppure, avrò pazienza, ti aspetterò. Me ne starò qui, mordicchiando un osso celeste. Non importa quanto ci metterai ad arrivare. Se entrassi da solo, che Paradiso sarebbe per me?”
Anonimo ( Da Internet)
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Da La Foire aux Cancres
-Questa estate siamo andati in campagna. Vicino alla casa c'era uno stagno pieno di rane. Quegli orrribili cetacei latravano tutta la notte e non mi lasciavano dormire.
-La tana del coniglio.aveva due entrate di cui una serviva da uscita in caso di pericolo.
-Quando hanno avvistato il cervo, i battitori suonano l'alibi..
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Una storiella stupidina che scrissi anni fa per un concorso pubblicitario.
LUIGINO
Mi chiamo Luigino, Gigi per i nemici. Sì, sono un vermetto ben pasciuto, ma quello che ho me lo sono guadagnato. Nella vita non si ha niente se non ci si industria e io mi sono dato da fare. Ho scavato la più funzionale galleria che si sia mai vista e ne ho tratto i miei benefici. Tangentopoli non mi ha nemmeno sfiorato. Non so che cosa siano le mazzette o gli appalti truccati. Io sono un self-made-worm, ho fatto tutto da solo. Non ho conti in banche italiane, né tantomeno in quelle svizzere, però il mio sostentamento e un certo comfort me li sono assicurati. Dicono che ho un colorito invidiabile. Sono d’accordo. Molti pallidoni vorrebbero essere rosei come me, però… Eh già, un però arriva sempre a guastare le belle storie. C’è un però anche nella mia vita dorata. Prima di morire, vorrei vedere realizzato un desiderio che porto dentro da quando cominciai la mia esistenza in questa mela renetta. Vorrei tanto vedere la GRANDE MELA di New York! Sono pronto ad offrire tutte le garanzie che non approfitterò dell’occasione per scavare gallerie. Parola di Luigino, bruco d’onore.
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Da La Foire aux Cancres
- Un pesciolino gemeva attaccato a un amo.
-La giumenta allatta la puleggia.
-Portava le vacche al pascolo sussurrandole parole intime.
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La piccola peste
Lei lo scelse in una cucciolata di cinque chihuahua, un dolce maschietto dal pelo fulvo. Aveva sentito dire che, la compagnia di un cane, sarebbe stata di aiuto per tollerare i suoi disturbi. Quel piccolo essere vivente era di razza pura e aveva un pedigree. Andò in Comune per registrarlo. Di solito ai cani di razza con pedigree si danno nomi seri, importanti, invece lei, ricorrendo al suo innato senso umoristico, lo registrò come DINO SAURO!
Dino era piccolo, ma crebbe, naturalmente con moderazione, però la sua autostima crebbe molto più di lui. Ora ha 8 anni e pesa due chili e mezzo. Tollera le coccole, ma, se non si interpreta bene ciò che gradisce e non si sceglie il momento giusto, passa velocemente dall’apparente tranquillità a una smorfia distaccata o aggressiva, mostrando i dentini bianchi e aguzzi. È lui il padrone di sé stesso, di casa e anche del Parco e della strada.
Se incontra un cane, anche se di grossa taglia, lo affronta e lo aggredisce, mettendolo in fuga. Che cosa gli dirà con quel suo abbaiare furioso? Durante la passeggiata, conosce le case dove c’è un cane e comincia un po’ prima a tirare nel guinzaglio e ad abbaiare. Pare che dica: “Attenti, passo io!” Li stana tutti, uno dopo l’altro. Spesso lei è costretta a cambiare strada. Guai a minacciarlo, alza la voce al massimo, certamente lanciandoti improperi. Blandirlo non è sempre efficace, meglio ricorrere a qualche trucco, come soffiare dentro un fischietto. La curiosità ha il sopravvento e si avvicina. Il suono del campanello o la suoneria del telefono scatenano il suo abbaiare, invece l’annusare un tubetto di lucida labbra, lo calma. Che sia strano è dir poco. Che abbia un carattere difficile è la verità.
Dalla sua cuccia, segue i movimenti di lei e ogni tanto si alza e va a darle un morso nei pantaloni. Spesso è così decifrabile:” "Ehi,ho fame" o "Cosa aspetti? È ora che tu ti sieda sulla poltrona e che tu mi prenda sulle ginocchia”. Lì si addormenta beato, ma attenzione a non approfittare della sua condiscendenza. I dentini sono pronti a mostrarsi in qualsiasi momento: “Chi è il padrone qui ?”
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Da La Foire aux Cancres
-I tacchini aspettano con ansia il Natale, per rallegrare la nostra mensa.
-La vacca è morta, non pascolerà più..
-A destra del pollaio c'era un gallo che covava le uova..
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Scrivo di nuovo di Mimma (Dal mio diario)
Mimma ama ancora le scarpe, ne va a prendere una dal sottoscala e se la porta sul suo cuscino senza morderla. Cuscino per modo di dire perché i cuscini li ha fatti fuori tutti e ora ha un quadratto di moquette su cui distendersi. Anche quello è sbocconcellato, ma, essendo molto duro, è sopravvissuto.
Mimma è proletaria, si sdraia ovunque: su cemento, su terra o pavimento, ma è anche raffinata e le piacciono le comodità. Quando mi siedo al computer e allento l'attenzione su di lei, ne approfitta per andare a sdraiarsi sul mio letto, tra i due cuscini. Appena sente i miei passi, scende e mi viene incontro scodinzolando con l'aria più innocente del mondo. Ama molto anche il letto di Alberto. Spesso la devo tirare giù di forza. Deve essere molto perplessa perché quando c'è Alberto, può stare sul letto accanto a lui, quando non c'è, il letto è off limits.
È eccessiva nel far festa a chiunque entri dal cancello.Il malcapitato vede questa " bestiaccia" frenetica fare salti a pié pari fino all'altezza della sua spalla. Passato il momento della scalmana, Mimma si calma e non gli slega le scarpe come faceva tempo fa. Ricordo quando vennero in visita Maurizio Calamini, mio ex scolaro, e suo padre. Eravamo in piedi sul piazzale e Mimma non fece altro che mordicchiare loro i lacci delle scarpe fino a slacciarli. Mi vergogno ancora e li rivedo andarsene trascinando i lacci stesi. E la volta in cui esagerò nelle sue effusioni e letteralmente con la lingua lavò le orecchie al pittore Pazzi, seduto a casa di mia sorella?
C.C.
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Da La Foire aux Cancres
-ll torero, snudata la spada, disse al toro di venire avanti. Questi ubbidì abbassando la testa e si infilò da solo sulla spada. Morì sul colpo.
-Il torero entrò per primo nell'arena, poi entrò il toro. Fatte le presentazioni, iniziò il combattimento.
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