A FOGNANO seconda pagina
INDICE:
-E folésta
-Il soprannome
-Vecchi modi di dire, proverbi
-Superstizioni, assurdità
-L' apocalisse-(l'alluvione della Romagna)
e gli "Angeli del Fango"
-Il Ballo: "rovinosa malattia"
-La Cassa rurale di depositi e prestiti
-Censimenti del 1900
-La Cassa di Risparmio di Ravenna-Prima sede
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"E folésta"
Tradotto liberamente dal dialetto, il "favolista", prima e subito dopo la seconda guerra mondiale, era molto noto nella campagna, soprattutto nella bassa Romagna.Nelle sere invernali,dietro accordo,si recava nella stalla di una fattoria dove si radunavano altri contadini dei dintorni. Al caldo umido delle "bestie", alla luce di lanterne a petrolio, i convenuti ascoltavano il folesta narrare favole e fiabe che li immergevano in un'atmosfera molto diversa dalla solita quotidianità.
Nella nostra campagna collinare non mi risulta che esistesse questa forma di evasione, però mi risulta che a Fognano paese c'è stato un folesta. Gli ascoltatori, "i casent", gli abitanti delle case, si radunavano in un cortile prestabilito per ascoltare le fiabe più classiche narrate da Beppino, soprannominato" Mezanot".Era una figura di uomo semplice, educato, gentile che vestiva volentieri l'abito del narratore. Nei momenti più salienti della narrazione il suo sguardo si volgeva verso l'alto come a inseguire le parole che uscivano rallentate e in tono profondo dalla sua bocca in un italiano un po' zoppicante, ma colorito ed efficace, che soddisfaceva un pubblico di scarse pretese.
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IL Soprannome
Non so perché lo avessero soprannominato Mezanot, non è sempre facile sapere o intuire la causa del soprannome a meno che non indichi una caratteristica fisica o un atteggiamento,una caratteristica per esempio:
e Macè, Bombatta, Scranô, Magrô, Stifilê, Balèna, Patatê, Paciarlô, e Morê, Ghelinê, Bigolê, Pesciolino Bianco, Buratlô, e Verginèl, e Merle, Cagnara
Spesso il riconoscimento della persona non era un vero e proprio soprannome, ma era legato al luogo di provenienza, di lavoro o trasmesso dalla famiglia:Minghì ed Bicoca, Gianì dla Busa, Bepino dla Rampè, Minghì de stalatic, Tabalorie, Pietrè dla Fontanela, L'Anna del Sor
Il soprannome era talmente diffuso e usato, che la persona era conosciuta solo attraverso di esso . Talvolta passava anche alla moglie, così che la moglie de Frê era la Freta, la moglie di Sarafot era la Sarafota
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Altri soprannomi:
Sporbiô, Pistrel, Tapino, e Prot, Cagnara, Gelati, e Merle, Zuffi, Diamine, Minola, Ricamatrice, Mambruc, Gilera, Biciclatta,Sabê,e Somarô, e Sdaz, Lugherê,Pino ed Risê, Spachì, Buzérr, e Bersaglier, Piroli, Marèla, e Sdaz
Anche qualche donna portava un soprannome. Ne scrivo alcuni: la Timirlèna, la Picepacia, la Gagiatta, la Maria del Bess, la Belva, la Levre.
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Ce n'erano tanti nel dialetto quotidiano, sbrigativi ma efficaci. Li ho cercati nella mia memoria,
ma la maggior parte sono rimasti in quel tempo lontano.
-L'a ona faza come na pieda levda- Ha una faccia come una piada lievitata
-L'è long come la massa cantèda- E' lungo/(riferito alla lunghezza temporale)
come la messa cantata.
-L'è ona padèla- E' una padella, oppure L'è ona sportla.E' una sporta.
oppure L'è ona pignata sfonda.E' una pentola sfonda. Riferito a persona
(generalmentedi sesso femminile), intendendo che parlava
troppo lasciandosi sfuggire le confidenze avute, disperdendole in giro.
-L'aqua l'an è mai andeda in so- L' acqua non è mai andata in su : una cosa
o un avvenimento impossibile.
-Di una donna acida: L'è erebìda come l'ai- E' arrabbiata come l'aglio.
-La j a la bacca spianeda-Detto di chi "tirava" la bocca (riducendola a fessura)
in segno di altezzosità o disprezzo
-Di un uomo molto ubriaco: L'à ciapé ona scemmia!- Ha preso una sbornia!
-Di chi, uomo o donna, era sfortunato: L'arà fat la pessa te batesme.
Avrà fatto la pipì nel battesimo.
-Di chi invece era molto fortunato:L'è ned con la chemisa dla Madôna. E' nato
con la camicia della Madonna, cioè è nato con sul corpicino un rettangolo di stoffa
bianca molto leggera come garza.Qualcuno diceva di averla addirittura vista.
-Del rumore del tuono: L'è e gevle ch'o scaroza la su dòna. E' il diavolo che
porta in carrozza la sua donna.
-Di chi era stato offeso e sgridato duramente: I j' a magné la faza.
Gli hanno mangiato la faccia.
O anche: I l'à scorbacé. L'hanno strapazzato .
-Consolatorio: Brot in faza, bel in piaza- Brutto alla nascita, ma bello in piazza,
cioè da grande.
-Consolatorio anche: Sposa bagneda sposa fortuneda. Sposa bagnata sposa fortunata.
-Di chi camminava tenendo i piedi divaricati: O chemena com ona zacla.
Cammina come un'anatra.
-A chi aveva la faccia giallognola, indelicato però mascherato furbescamente
tra le parole gli veniva detto:
A s' evdé za lôn a Marè - Ci vediamo già lunedì a Marradi. Sembrava alludere
al piacere di un nuovo incontro. Infatti ogni lunedì a Marradi si svolgeva
un mercato molto frequentato, ma "za-lon" significa anche giallo, " giallone",
perciò: Ci vediamo giallone a Marradi.
-Dov ch'os mogna os ragogna- Dove si mangia, cioè in famiglia, è normale
che si bisticci.
-Chi va a Sant'Ona o perd e post e la scrôna-Chi va a Sant' Anna perde il posto
e la scranna, (la sedia)
-Del cibo si diceva: Pasè e gargoz l'è totta merda e loz- Passata la gola è
tutta merda e sudiciume.
-Di qualcuno dalla faccia tosta: La j à (se donna) o l'à ona faza ( se uomo) co si
macarab i pignol Ha una faccia che vi si ammaccherebbero i pinoli (tanto è dura)
-O j'à cantè e grell in bisaca.-Gli ha cantato il grillo in tasca. Quando qualcuno aveva
un'idea improvvisa o trovava una soluzione a un suo problema
Di una donna molto ciarliera: L'an sta mai zetta. L'ajà la povida come el galen.
Non sta mai zitta .Ha la povida come el galen.
-Oppure:la j à sepre la lengua a mol.Ha sempre la lingua a bagno cioè
ben lubrificata dalla saliva perciò pronta per parlare.
- Quand che el nuvle el va ai piò carr a ca a tò e gabò.Quando le nuvole
vanno verso la pianura corri a prendere la giacca,cioè la pioggia è vicina.
-Oppure: Quand che el nuvle el fa e pò carr a ca a tò e gabò. Quando il cielo
fa il pane (è a pecorelle)...
-L'invérne on se l'è mai magnè i pasre. L'inverno non se l'è mai mangiato i passeri,
detto a chi magari si lamentava perché Non pioveva o non nevicava.
- Quand ch'o neva e la rimboffa tot quei ed Brisighèla i fa la moffa. Quando nevica
e c'è burrasca(vento) tutti quelli di Brisighella fanno la muffa. Forse qui
riaffiora un po' dell'acredine dei valligiani che volevano il comune.
-I brisighellesi dicevano: Quand che el querz el farà i limò a Fugnò
j avrà e Comò.Quando le querce faranno i limoni a Fognano
avranno il comune
- Un altro sfottò dei valligiani era irridere il dialetto dei brisighellesi
e la sua pronuncia: A Brisigheala j à e grimbieal piò long che la staneala.
A Brisighella hanno il grembiule più lungo della sottana.
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Superstizioni, assurdità
Portava sfortuna :
*a tavola voltare la pagnotta col fondo in su o rovesciare la saliera
*appoggiare sul letto l'ombrello, o una croce per abiti.Gli appendini erano
di legno e sembravano veramente delle croci.
*passare sotto una scala a pioli appoggiata al muro.
*veder passare un carro di fieno
*camminare all'indietro. Caminé nez dré: Si insegnava la strada al diavolo
*sentir cantare la civetta . C'è un aneddoto vero. Una notte Rufell, il nostro falegname,
sta dormendo quando la moglie lo scuote forte e lo sveglia allarmata:-Rufell, Rufell
o cônta la zvatta! (Canta la civetta!) e Rufell, seccato di essere stato svegliato:"Csa
vot cla sona l'organé?" ( Cosa vuoi che suoni l'organetto?).
*Il primo giorno dell'anno le ragazze lanciavano una scarpa giù dalla scala:
se la scarpa cadeva con la punta in avanti, si sarebbero sposate entro l'anno
*Succedeva spesso che comparissero porri specialmente sulle dita di
mani e piedi. Il rimedio: occorreva contarli, mettere altrettanti sassolini
in un cartoccio e lasciarlo cadere lungo la strada.
Se qualcuno avesse raccolto il cartoccio, i porri si sarebbero trasferiti a lui.
All'improvviso l'APOCALISSE
Da Brisighella
·
19/5/2023 - Settimana N. 20 (dal 15 al 21 Maggio)
GLI ANGELI DEL FANGO A FOGNANO
Dopo la terribile ALLUVIONE in Emilia.Romagna
Faenza in ginocchio insieme a tutti i paesi della pianura e della collina.Case e campi allagati. Nel Comune di Brisighella innumerevoli frane hanno stravolto la vita di tante persone, tante famiglie isolate senza acqua, senza viveri, chi senza energia elettrica. Da Auronzo di Cadore, Fossalta, Caomaggiore, San Bonifacio, Sarcedo, paesi veneti, provengono i cosiddetti “angeli” del fango, dell’acqua. Già operativi a Faenza, ora puliscono il fango trascinato da una frana e le cantine allagate del Convento Emiliani dove alloggiano e dove Suor Marisa, le altre consorelle e i tanti volontari, danno assistenza agli sfollati. E'stato come un terremoto: in collina strade interrotte da innumerevoli frane,tratti scomparsi. Il rischio è tuttora elevato per le fenditure rilevate dagli elicotteri. Dopo una giornata di sole, il cielo si è di nuovo rannuvolato e ora piove risollevando apprensione tra la popolazione. Per ristabilire il territorio servirà dunque un lavoro immane. Ci sono tantissime strade da ripristinare, c’è da aiutare finanziariamente imprese e cittadini colpiti, e poi ripartire con le attività, ricostruire case, ripiantare alberi, ripristinare il territorio e le infrastutture, mettere in sicurezza i fiumi e gli altri corsi d'acqua... Ci vorrà tempo, tanto tempo ma vedere tanti giovani aiutare, riposarsi dopo una giornata a spalare fango, fornai che fanno il pane di pomeriggio per aiutare il paese, fa capire che c'è ancora speranza e ci si può rialzare, con l’aiuto di tutti quanti.
Grazie di cuore agli angeli del fango, ai volontari, alla Protezione Civile, a tutti quelli che si sono messi al servizio della comunità.
Il ballo dichiarato "rovinosa malattia"
Da una ricerca e da un interessante articolo pubblicato su Voce Amica, giornalino parrocchiae
da Isa Bedeschi.
Durante il Fascismo: L'attuale Governo ha emanato sagge disposizioni. La Chiesa ha sempre condannato il ballo.I Vescovi del Lombardo e Veneto hanno ordinato ai loro parroci di sospendere le feste religiose se durante le funzioni religiose si balli. La disciplina ecclesiastica odierna dispone che siano sospesi dalle Associazioni Cattoliche coloro che frequentano il ballo.
Intanto Mussolini, ripreso in elegante doppiopetto bianco mentre si lascia andare a qualche passo di danza durante una festa privata, ordina che il filmato sia sequestrato per non guastare l'austerità della sua immagine. Sono del 1930 alcuni accesi interventi contro il ballo che appaiono su periodici fascisti quali Santa Milizia,Corriere Adriatico, Critica Fascista e l'estensore di Voce Amica, riflettendo su quegli articoli, si compiace che tale rovinosa malattia non sia mai entrata nel paese che mostra buon senno e rispetto delle direttive della Chiesa e del Governo. Nel febbraio del 1935 Voce Amica si compiace coi Vescovi veneti per i provvedimenti adottati in merito al ballo:
°se durante una festa religiosa si indice un ballo pubblico si tolga ogni solennità alla festa (processioni, scampanio, canti...);
°le processioni nel corso dell'anno evitino le contrade dove si tengono feste da ballo;
°non si benedicano le case dove si balla;
°gli organizzatori di feste da ballo non possono assumere ruoli nella Comunità ecclesiale.
Nel 1940, dopo la dichiarazione di guerra, è imposto per legge il divieto di ballare in pubblico; i locali notturni vengono chiusi e per gli italiani si aprono sinistre prospettive che non inducono certo ai divertimenti. Si tornerà a ballare nel 1945, dopo la Liberazione: l'entusiasmo collettivo si manifesterà nelle feste di piazza, nei balli nelle aie, nella ricerca di trasgressioni liberatorie. Per molti anni Voce Amica tace in merito al ballo ma, inaspettatamente, nel primo numero del 1954 ritorna sul tema con un'enfasi già conosciuta citando giornali non cattolici: Oggi il ballo al poco di sano godimento aggiunge il molto della frenesia lussuriosa, della frivolezza da salotto, dello sperpero godereccio... E' poi un grave danno per l'economia domestica che già tanto danno risente per effetto delle ciprie e dei belletti, dei veli profumati e delle scarpette inargentate.
E un anno dopo l'Arciprete pubblica la notificazione dell'Arcivescovo di Ravenna contro il ballo:
- Il ballo moderno deve ritenersi una occasione prossima al peccato.
-E' quindi peccato promuoverlo, organizzarlo, frequentarlo.
-Le case dove si tengono balli o dove abitano gli organizzatori di balli non avranno a Pasqua la rituale benedizione.
Ancora anni di silenzio in merito, al primo di settembre del 1959 don Antonio Poletti è nominato coadiutore dell'Arciprete.
E comincia un'altra storia.
Considerazione da parte del filosofo, poeta e compositore tedesco Friedrich Nietzsche ( 1844-1900):
Quelli che ballavano erano visti come pazzi da quelli che non sentivano la musica.
La Cassa di Depositi e Prestiti
La Cassa fu fondata da don Silvestro Mondini nella canonica arcipretale il 5 maggio del 1907.
Nel 1911 acquistò il palazzo Silvestro Lega in Piazza Garibaldi a Fognano (dov'è ora la Cassa di Risparmio di Ravenna) che ne divenne la sede. Partirono di lì tutte le iniziative cattoliche paesane.
Prestava la sala per conferenze, premiazioni, pesche e lotterie di beneficenza. Ospitava il Ricreatorio e le adunanze. Fu Centro di Propaganda per il Partito popolare italiano, per la cooperativa cattolica fondata nel1920. Nello stesso anno, dal segretario Mondini passò nelle mani di don Antonio Cantagalli detto Bizighé, cugino dell'Arciprete don Battista Cantagalli, che le diede grande sviluppo. I soci passarono da 47 a 362 e passò da un portafoglio di 8 mila lire a 300 mila lire con un aumento di cassa di tre milioni nel solo anno 1921, diventando per importanza la seconda tra tutte le 55 Casse Rurali della Romagna. Era inividiata e ammirata dagli avversari che si abbassarono a chiederle prestiti. Contava soci, oltre che nel paese, in 24 parrocchie dei dintorni e fu a capo di tutte le manifestazioni cattoliche di Fognano. Erano soci anche l'Arciprete locale e tutti i parrocchiani dei dintorni. Nel 1912 i soci comprarono 12 torce e con quelle partecipavano in gruppo a tutte le processioni e ad altre solenni funzioni religiose. Nel 1919 la Cassa offrì 500 lire per i restauri della chiesa parrocchiale e nel 1922 altre 500 lire per i restauri della Chiesa del Suffragio. Regalò al Circolo un bel concertino spendendo altre 500 lire. In tutte le collette di beneficenza ,e per gli infermi fognanesi, la Cassa Rurale figura sempre con generose elergizioni. Nel 1920 aprì per i suoi soci un ritrovo festivo sociale, con anche rivendita di vino, dove erano proibiti il turpiloquio e le bestemmie.
Aveva 140 possedimenti. Nel 1921 aveva soci in ben 24 parrocchie dei dintorni e aveva preso tale svilippo da gareggiare e competere colle Agenzie della Banca Credito. Contava 40 possidenti e tutti i notabili di Fognano e aiutava la buona stampa essendo abbonata a vari settimanali e a riviste illustrate.
Nonostante tutto iniziò il suo tramonto che si concluse con un fallimento. Il perché probabilmente si può addebitare al fatto che Bizighé, troppo generoso, faceva prestiti che molto spesso non venivano rimborsati. Nel 1927, a pianterreno, si installò la succursale della Cassa di Risparmio di Ravenna,
( Da Voce Amica)
Censimenti del 1900
Nel 1000 famiglie 264
abitanti 1111
Nel 1950 famiglie 322
abitanti 1257
Nel 1978 famiglie 413
abitanti 1383
Qualche anno fa, ho potuto fotografare questa scritta affiorata dall'intonaco in via Emiliani.
Testimonia che la Cassa di Risparmio aprì i battenti in via Educandato ( così si chiamava Via Emiliani). Il locale, a pianterreno, era più o meno vicino alla stanza dove poi Deriê (Andrea Sabbatani) aprì la sua macelleria, tra la curva del Bar Lamone e il terrazzino del primo piano. Ci lavorava Teodosio Solaroli, il padre di Paolo e figlio della guardia comunale Serafino,vigile stabile a Fognano. Ricordo una frase che ripeteva spesso con la sua voce sottile, quasi a scusarsi, soprattutto quando doveva fare una multa o un'osservazione:" Caro mio, la legge vuol così."
Negli anni 80 c'è stato un periodo in cui alcune ditte, per vendere i loro prodotti, organizzavano gite in pullman. Non si pagava il biglietto, il pranzo era gratis e soprattutto la meta era appetibile. La gente aveva cominciato a chiamarle con accento scherzoso "le gite dei tegami". Quando si era a tavola , un addetto della ditta sciorinava e decantava la sua merce. Non era obbligatorio comprare, però ci si sentiva quasi in dovere di fare un acquisto. Io ci andai una volta ma non ricordo il nome del luogo, si trattava di un grazioso paese sul Lago di Garda. Dopo il pranzo si aveva tutto il tempo per andare in giro, a conoscere il paese. Queste gite continuarono per alcuni anni, poi cessarono.
Molti anni dopo, mio cugino Giovanni di Marradi, organizzava gite, naturalmente a pagamento, verso località della regione. Io sono andata almeno cinque volte. Spesso sceglieva una località di mare, almeno per il pranzo, che era a base di pesce. Molte persone partecipavano alla gita proprio per questo. A me non interessava il pesce, mi piaceva visitare qualcosa che non conoscevo e mi interessava ogni volta. Un giorno mi venne la voglia di scrivere una filastrocca, eccola:
Fognano, 24 settembre1993, ore 5, davanti al Parco della Rimembranza.
Non partivamo mai così presto. La scelta dell'ora di partenza è
arbitraria per ragioni di...zirudella.
Protagoniste Ernesta e Cesira
Dialetto scritto spesso semplificandolo. Accanto c'è la traduzione in italiano
Ernesta-O, Cesira, com'èla mo Ernesta- Oh, Cesira, com'è mai
ch'a si bale steda so? che vi siete già alzata?
V'el zuzest queiquel ed brott? Vi è successo qualcosa di brutto?
Cesira- Ma non vedete, la mia Ernesta,
Cesira- Mo an evdì, la mi Ernesta, che mi son messa il vestito della festa?
ch'am so massa e vstì dla festa? Sono venuta presto perché
a so vnuda prest perché non voglio mica restare a piedi.
an voi miga resté a pè. Non sapete che stamattina,
An savì che stamatena, anche se piove o se balena,
onc so piov o so sbalèna, parte un torpedone
o s'emòla on torpedò coi pensionati del nostro comune?
coi pensionè de nost comò? Ernesta- E dove vi portano, all'ospedale?
E- Dov ev portie mo, te bsdèl? Cesira- Ma cosa dite, neanche a pensarlo!
C- Mo csa giv; gnonca a pensei! Ernesta- Ci sono soltanto dei Fognanesi?
E-- J el soltont di Fugnané? Cesira- Noo, raccolgono quelli di San Martino,
C-Noo, j caj so quei ed Sò Marté, poi vengono giù da San Cassiano
pu i vè zo da sò Csò e imbarcano noi di Fognano.
e i imberca nò ed Fugnò. Se non ce n'è proprio nessuno
Son gnenè propie inciò, tirano dritto da Pontenono
i tira dret dai pont ed Nò e raccolgono i Brisighellesi
e i ramasa i Brisiglé che ci aspettano dal giardino.
ch'i z'espèta dai zardé. Ernesta- Ma dove andate, si può sapere?
E- Mo dov andiv, es pol savé? Cesira- Andiamo via a fare un viaggetto,
C- Andè veia s fè on viazté, a fare i turisti nella città d'Urbino.
a fè i turesta tla zité d'Urbé Ernesta- E poi quando avete camminato
E-E pu quand ch' j scarpinè e per lo stomaco si fa mezzogiorno?
e pre stomg os fa mezdè? Cesira- Ci fan fare una mangiata
C-Is fa fer ona magnèda con del pesce di acqua salata.
con de pass d'aqua salèda. Ci nutrono proprio bene
Is parcura propie bè E non manca di certo il vino!
e on monca ed zerta e vè! Ernesta- Non ce ne sono che non hanno i denti?
E-On gnen'è ch' in n'eva i dent? Cesira- Si arrangiano bene tutti quanti,
C- I s'erangia bè tot quent, anche quelli che hanno la dentiera
onca quei ch'j a le dentiera anche se scossa come una pera...
nec sla scosa cme na pera Ernesta- Ma come sono, sono belli o brutti?
E-Mo com'èi, ei bal o brot? Cesira- Sono i più belli del nostro comune,
C-J è i piò bal de nost comòn, li hanno scelti uno per uno!
ji j'a scilt on per on ! Guardate me col mio omarino:
Guardì me coi me omerè: non sembriamo due fiorellini?
an parè du fioredè? Ernesta- Ma fottuta di una Cesira
E- Mo foiuda d'na Cesira. L'avete proprio lucidato a cera.
A' lì propie lustrè a zira. Cesira- Gli altri sono ancora più in gamba,
C-Chietre j è incor piò in gamba Bisogna vederli ballare la samba!
o bsogna evdei balè la samba! Ernesta- Ma guarda che fortuna
E- Osta ciò ech fata fortòna. Io vi giuro che non sarei capace.
Mè, a ve zur, an sarab bona. E' una grazia del Signore
L'è ona grazia de Signor che non abbiano qualche dolore.
ch'in neva brisle queic dolor.
Mo... per dì la veritè Cesira- Ma...per dire la verità
Quichedon...l'è magagné... Qualcuno... è acciaccato...
Per esempie Minghiné Per esempio Minghiné
l'à on ergna a l'intesten ha un'ernia all'intestino
e l'Ersiglia la j à el catarat e l'Ersilia ha le cataratte
e Mingò o va zop ed fat. e Mingò va zoppo del tutto
A la Pia, quand ch'os fa bur, Alla Pia, quando si fa buio,
o j fa mel toti el zuntur, le fan male tutte le giunture,
Sandrè l'à sol la sciatica... Sandrino ha solo la sciatica
E-Ohi, Cesira, fermiv on pò, Ernesta- Ehi, Cesira, fermatevi un po',
in n'è miga tant te bon. non sono mica tanto in gamba.
A j ò fed gh'is seia sbagliè Credo che si siano sbagliati
te comon a nom invidè. nel comune a non invitarmi.
Me a j ò mel a la schena, Io ho mal di schiena
la circolazion cl'an camèna, la circolazione che non cammina,
la bronchite, mel ton snocc la bronchite, male a un ginocchio,
e e cor come on batocc, il cuore come un batacchio,
a so carga ed rumatisme sono carica di reumatismi
con on mel ch'a guent disme, con un male da impazzire.
A j ò ona vena varicosa... Ho una vena varicosa...
insomma , a j ò on pò ed gnicosa. Insomma ho un po' di tutto
C- A capess ch'a si fornida, Cesira- Capisco che siete fornita,
mo eimonc andì ben col dida... ma almeno andate bene con le dita..
E- Mo stì bona! A j ò on ziradì Enesta- State zitta! Ho un giradito .
c''on guares gnonc a fel bolì. che non guarisce nemmeno a farlo bollire.
Cesira- Basta ecsè, a sì on impiastre! Cesira- Basta così, siete un impiastro!
Montì so ch'a sì di nastre! Salite che siete dei nostri !
Il recupero e il riciclo
Il recupero era d'obbligo nelle famiglie sia prima che dopo l'ultima guerra, "non si buttava niente".
Questo è uno slogan che oggi viene ripetuto perché cerca di indurre la popolazione,
abituata al di più e al meglio, a un consumo sfrenato, al cosiddetto consumismo, ma allora il
risparmio, il riutilizzo era uno stile della vita di ogni giorno.
Ora si cerca la frutta bella, lucida, senza difetti. Noi la raccoglievamo anche quando era
caduta dall'albero e non importava se era bacata. Si scartava la parte e si mangiava il resto
con la buccia. Il contadino non le irrorava con pesticidi. Il sapore era intenso,
profumato e non si ritrova nella frutta di oggi.
Non si buttavano indumenti o biancheria logori o con uno strappo. Tutte le donne sapevano cucire.
Chiudevano il difetto con una toppa.Non di rado si vedevano pantaloni con una toppa, o anche due
affiancate, sul sedere. Le toppe comparivano sulle parti che erano più soggette all'usura come
il gomito e il ginocchio. I calzini si bucavano spesso e venivano rammendati. Le scarpe e gli indumenti
dei più grandi, passavano ai piccoli. La stoffa di un vestito macchiato o sdrucito veniva
riutilizzata per fare altre cose, come grembiali, presine, stracci per la polvere, sporte, ciabatte.
Da un cappotto grande se ne traeva uno più piccolo. Le famiglie erano generalmente numerose,
ma si era più fiduciosi forse perché le pretese erano minime.
"Dove si mangia in tre, si mangia anche in quattro" era un modo comune di pensare.